Damon
Galgut, nato a Pretoria nel 1963, è uno dei più interessanti scrittori
sudafricani. In questo ultimo romanzo restituisce un quadro efficace del suo
paese che si specchia nella storia esemplare del protagonista Adam Napier. Tutti
i personaggi dell’Impostore sono
forti ritratti psicologici e modelli di uno status sociale in un Sudafrica
dall’identità sfuggente, le cui uniche certezze sono l’affarismo spregiudicato
e il mai sopito odio interrazziale. Un contesto da cui il quarantenne bianco
Adam, lasciato il lavoro e ogni bene materiale, tenta di fuggire isolandosi in
una casetta di campagna appartenente al fratello Gavin, “un costruttore edile
disonesto, ossessionato dalla rubinetteria economica”. L’uomo di mezza età in
profonda crisi, autore di una giovanile e mediocre raccolta di versi, vuole
riconsegnarsi anima e corpo alla poesia, traendo ispirazione dal magnifico
paesaggio del Karoo, circa otto ore da Città del Capo. Un proposito
velleitario, quello di liberarsi da ogni compromesso per lasciare spazio al
“suo io fondamentale”, di cui lui stesso non appare molto convinto. Il senso di
“calma incolore” del suo rifugio, un tempo inchiodato a un’eterna domenica pomeriggio,
l’assenza della storia e dei fatti che si svolgono nelle lontane città, lo
sprofondando nella depressione e trascorre intere giornate a contemplare gli
squallidi locali della vecchia proprietà o le mosse di un misterioso vicino che
come lui si nasconde al mondo. Ma anche in questo luogo remoto giungono i segni
del disagio generale. Basta fare un giro nel villaggio per accorgersi della
povertà, della frustrazione degli abitanti e della situazione pietosa della
limitrofa township, il quartiere ghetto dei neri non molto diverso da quelli
cittadini. L’opinione della gente attorno alla nuova strada in costruzione, che
porta sviluppo ma anche prostituzione e criminalità, oscilla tra aspettative di
progresso e nostalgie di un passato bucolico. E’ il tipico contrasto psichico della
mentalità sudafricana, divisa tra slancio verso il futuro e conservatorismo.
Mentre l’ispirazione poetica di Adam tace e il senso del fallimento personale
sembra arrivato a un punto di non ritorno, appare come un fantasma Kenneth
Canning, un vecchio compagno di scuola, ex commerciante mezzo alcolista che ha
ereditato dall’odiato padre una riserva di caccia nei dintorni. Il sogno del
feudatario antica maniera, un appezzamento di terra selvaggia ai piedi di una
gola verdeggiante, diventa la meta preferita dei week-end di Adam e nel
contesto meno prevedibile svela tutte le nefandezze del Sudafrica da cui
l’improbabile poeta aveva preso le distanze. La riserva di Gondwana è oggetto
di una speculazione guidata dal trafficante internazionale Genov, che grazie alla
complicità dei nuovi politici neri vuole trasformarla in un lussuoso campo da
golf. Trascinato da un destino che Damon Galgut scandisce con stile forte e
asciutto, Adam Napier si trova immerso in un thriller dall’esito quasi fatale. Diventa
l’inconsapevole corriere di soldi consegnati al sindaco per ottenere i permessi
abusivi di costruzione e viene irretito dalla trappola erotica di Bimba, la
giovane moglie di Canning, ex prostituta d’alto bordo. Fredda e irresistibile, contemporanea
amante del pericoloso Genov, la donna prende il posto dell’ambizione poetica.
“Quando è a letto con lei, il clamore della coscienza si raccoglie in un calor
bianco in cui passato e futuro convergono”. Galgut coglie tutta l’ambiguità del
male nascosto nella seduzione femminile fiorita dalla miseria e nella violenta
sete di potere delle classi emergenti. Un vortice da cui Adam Napier riesce a
scampare all’ultimo tuffo, facendo ritorno a quella civile vita borghese che in
fondo era sempre stata la sua.
Damon Galgut
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