VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

lunedì 12 dicembre 2011

UN INCONTRO CON GIANNI CELATI A DIOL KADD


Durante un incontro nei pressi dell’Università di Dakar, Mandiaye Ndiaye, regista e storico attore senegalese del Teatro delle Albe di Ravenna, inizia a parlarmi di una nuova versione del Pluto di Aristofane che ha intenzione di mettere in scena - o mettere in vita, come ama precisare - con gente di campagna e in piena Africa rurale. E’ così che giungo a Diol Kadd, villaggio natale di Mandiaye, una manciata di capanne sperduta nel sahel dove mi ha preceduto di qualche giorno Gianni Celati con i suoi due operatori Lamberto Borsetti e Paolo Muran. L’idea della piccola troupe è quella di filmare le prove del Pluto, progetto da cui germinerà strada facendo un’opera autonoma pubblicata dopo una lunga gestazione da Feltrinelli. La documentazione del lavoro teatrale scivolerà in secondo piano lasciando spazio a un delicato e vivissimo quadro di vita africana completato dai diari tenuti da Celati nel corso di un work in progress durato quattro anni. Passar la vita a Diol Kadd è una testimonianza scaturita da un modo di registrare gli eventi insieme partecipe e trasecolato, che limita al minimo necessario le intromissioni in un ambiente estraneo, osservando con un filo di rimpianto e un altro di desiderio un mondo lontano dagli attuali canoni occidentali e vicino per certi aspetti a quel che poteva accadere nelle nostre campagne mezzo secolo fa. “E’ un’amica comune, Ermanna Montanari, che ha fatto da tramite” mi racconta Celati quando le chiedo della sua amicizia con Mandiaye e dell’avvio del progetto. “Dopo una lunga serie di contatti ci siamo ritrovati in Senegal con il proposito di girare un documentario a Diol Kadd. Io ho idee continuamente confuse, mentre Mandiaye, la seconda o la terza volta che ci siamo visti, aveva già scelto una commedia di Aristofane, Il Pluto, da trasformare in lingua wolof attingendo alle mitologie dei contadini e delle campagne africane. Quest’avventura è iniziata grazie a lui. Quando sono arrivato qui il lavoro era già avviato e si stavano facendo le prove con lo straordinario Moussa Ka, il servitore della commedia, altro grande amico. 


Gianni Celati e Vincenzo Maria Oreggia a Diol Kadd nel 2006

Era l’estate del 2003 e non capivo ancora nulla di ciò che accadeva, ma a colpirmi subito fu l’eccezionale partecipazione della gente, con un’intensità che faceva risuonare ogni più piccola inflessione della voce. Ricordo quelle sere come l’ideale di tutti i teatri, dove si vede poco e tutto vibra in modo impressionante. La storia era quella di un contadino e del suo servo: il contadino di Aristofane che si stanca di essere povero e si rivolge all’oracolo per sentirsi dire che il primo cieco lungo il suo cammino sarà il dio della ricchezza ed è lui che dovrà curare. Moussa, nella parte di servitore, era un brontolone un po’ retrivo di campagna che stupiva per la gesticolazione da derviscio e per il talento di improvvisatore insofferente a qualsiasi copione. Il teatro, quando è tutto apparecchiato lì per bene e si riduce alla sola rappresentazione, mi dà un’impressione mortifera. Qui a Diol Kadd era invece tutto pieno d’anima, con i due cori maschile e femminile che si scontravano prendendo rispettivamente le parti del padrone e del servitore. Ero confusissimo ma avevo l’impressione di qualcosa che raramente vedi nelle forme teatrali, ed è così che mi è venuta l’idea di provare all’esterno, nelle strade. Rivedendo ciò che abbiamo realizzato il primo anno, la cosa più interessante rimane comunque questa partecipazione del villaggio, che avvertivo pur senza comprendere nulla dei discorsi. L’anno successivo, nel 2004, mi sono poi concentrato sul profilo drammaturgico e ho cominciato a scrivere piccoli testi per sviluppare l’idea della commedia, che si è allontanata dal suo impianto tradizionale. Quando abbiamo fatto parlare ad esempio la moglie del contadino ne è venuto fuori un numerino delizioso di recita paesana. Alcune signore del vicinato si avvicinavano liberamente e imparavano a loro volta una parte. A un certo punto abbiamo trovato un imperdibile dio della ricchezza, l’ex portiere della nazionale di calcio senegalese, che è diventato un buon compagno di lavoro. Aveva una malleabilità particolare e una dedizione assoluta al progetto, ma non voleva memorizzare nulla leggendo, costringendoci a mettergli ogni volta le parole in bocca, con un conseguente personalissimo processo di adattamento. Non so ancora come farò a trasporre questa lingua, il wolof, per me intraducibile, in italiano. Nel film che giriamo l’evento teatrale assumerà necessariamente una nuova dimensione. Ho in mente una specie di diario parallelo alla scena itinerante.” Continuando a parlare del Pluto, commedia in cui le divinità entrano in diretto contatto e condizionano le scelte degli uomini, la conversazione si orienta verso quella porta che in Africa, contrariamente a quanto accade in Occidente, rimane sempre socchiusa tra l’ordinario e il soprannaturale.

Passar la vita a Diol Kadd. Diari 2006-2006. Con DVD
Passar la vita a Diol Kadd, edito da Feltrinelli nel 2011

"Presso gli antichi sacer significava invece allo stesso tempo due cose, manteneva una costante ambivalenza, che in Africa è ancora sentita. Quando, come nelle nostre società, la si abolisce, il sacro è messo a tacere. Superando limiti interdetti e contravvenendo a tabù ancestrali metti in crisi il sacro ma al tempo stesso lo riveli, come accade nelle cose che riguardano il sesso. La pornografia è un caso tipico in cui questo processo non è più possibile perché tutto è senza veli e non c'è più nulla da desacralizzare. L'uomo europeo tende a ignorare questa soglia ambigua, laicizzando tutto.” La distanza tra il modo di percepire l’esistenza in Occidente e in Africa è un argomento caro a Celati. Intercetta una delle principali ragioni per cui si è spinto quaggiù. “La sfera del soprannaturale è una dimensione che gli europei accettano difficilmente. Pur tenendo in debito conto il punto di vista della scienza, non bisogna mai dimenticare che ne esiste un altro. In quanto esseri umani siamo entrambe le cose e dobbiamo accettare di essere proprio così, spaccati in due. Ignorarlo conduce a disastri. Lo puoi constatare negli americani: è come se si fossero tirati via un pezzo di lobo mentale, trasformando tutto in qualcosa di funzionalistico. E' una stupidaggine bloccare cose che ci accompagnano fin da quando siamo bambini, che danno sostanza alla nostra immaginazione e abitano quel che chiamiamo l’inconscio. Che sia difficile tenere i piedi in entrambi gli aspetti è un fatto che non ci consente di obliterarne uno, come fanno i fanatici del dato scientifico. Giudicare una delle due dimensioni inferiore e inconciliabile con l’altra è un forzatura tecnicistica che produce la perdita di quella preziosa zona interstiziale che è il nucleo più fervido e importante della nostra vita.” Ma anche l’atmosfera miracolosamente integra di Diol Kadd, dove uomini dai gesti tranquilli dialogano con il soprannaturale, è attraversata dal pericolo della modernizzante rovina. “Una sera siamo usciti col carretto per fare un giro in un paese qui vicino. Era già buio e siamo sfilati accanto ad abitazioni in cui era già arrivata la luce elettrica. Era strano scorgere i pali della luce e intuire qua e là nel buio la presenza di un frigorifero o di una televisione. Provo a immaginare come sarà qui tra dieci anni e ho l’impressione di vivere in uno stato sospeso. Tutta questa parte d’Africa ha quest’aria di sospensione. Quando sono stato in Mali mi sono innamorato della sua gente pacifica e mi chiedevo da dove venisse quella serenità straordinaria. Muoiono in media a quarantatré anni, vivono con un reddito di pochi dollari, se gli regali un sacco di miglio vanno avanti per sei mesi, eppure continuano a passare le loro giornate in questo stato edenico, sospeso, con qualcosa di sconosciuto che incombe ma non li intacca.”

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