VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

giovedì 15 giugno 2017

KENT HARUF - LE NOSTRE ANIME DI NOTTE - NN EDITORE 2017


Maestro americano scomparso nel 2014 a settantuno anni, Kent Haruf sceglie la cittadina immaginaria di Holt, in Colorado, per ambientare le sue storie umanissime e cristalline: dipinte, verrebbe da dire, da una prosa parsimoniosa ed evocativa, costruita come se in fila, nei momenti più intensi, siano disposti versi di poesie narrative. Grazia e leggerezza particolari che colgono le anime dei personaggi quasi scattando istantanee all’invisibile, lasciando respirare i silenzi e permeandoli di un senso potente e ineffabile, le pause dei dialoghi che regalano esempi continui della distillata e particolare saggezza di un romanziere in grado di contemplare la vita da un punto intimo ed eccentrico, facendo vibrare nel suo lavoro moti di complicità, nostalgia e soprattutto grande pietà. Ascoltare lo stile di Haruf è dunque dedicarsi a una vera e propria pratica conoscitiva, un’esperienza che indaga e insegna l’universo degli esseri umani, i loro dilemmi, le loro complesse scelte morali, l’incapacità, a volte, di prendere vie che siano interamente buie o luminose, benefiche o portatrici di nefasti accidenti, perdurando in quel purgatorio di ambiguità e incertezze che incarnano spesso nei loro viaggi terreni, da cui si staccano poche, preziose schegge di chiara autenticità. Come ricorda nella nota in coda al romanzo il traduttore Fabio Cremonesi, quel che si aggiunge in quest’opera, rispetto ai lavori precedenti e in particolare rispetto alla Trilogia di Holt - pubblicata in tempi recenti come tutto Kent Haruf da Enne Enne Editore - è una certa impazienza e un incalzare del tempo che viene a mancare. Nella trama di una vicenda semplice e teneramente paradigmatica - la storia di un amore senile inaspettatamente fiorito e poi, dopo una breve stagione gioiosa, costretto a ridursi a un timoroso mormorio telefonico dalle violenze dell’ipocrisia sociale che giudica e di nascosto invidia la felicità altrui -, si riflette forse lo stato emotivo dell’autore che scrive quest’opera nell’estremo frangente della sua vita (Our Souls at Night verrà pubblicato un anno dopo la morte) come un malinconico ma in fondo non pessimista testamento d’artista. Nonostante tutto, infatti, l’ultima battuta che corre tra Addie Moore a Luis Waters, i due amanti, è una domanda confidenziale, rassicurante, quotidiana - “Fa freddo lì stasera, tesoro?” - che rilancia virtualmente all’infinito un dialogo che si temeva compromesso. Una domanda, quella rivolta da Addie a Luis, che costituisce anche l’ultima riga del libro nonché il rilancio di una speranza ancora presente e attiva. 

Kent Haruf 

Ma prima di questo sapiente epilogo in levare c’è tutta la delicatezza con cui lo scrittore fa avvicinare la settantenne vedova Addie a un altrettanto anziano e vedovo vicino di casa: la schietta e apparentemente sfrontata proposta di venire a dormire da lei, nel suo letto, solo per stare vicini, per raccontarsi, nel buio o alla tiepida luce di un’abat-jour, ritrovando la piacevole, affettuosa intimità che avevano forse sperimentato in un epoca lontana e forse mai con una simile forma di abbandono. E insieme a questa intimità giunge il desiderio di fare cose semplici e buone che tornano ad avere un gusto perduto: un paio di giorni nella natura assoluta, ad esempio, dove ascoltare il rumore dell’acqua in una tenda accanto a un ruscello di montagna mentre la piccola cittadina bigotta chiacchiera e sparla delle visite notturne di Luis, pigiama e dentifricio infilati in un sacchetto di carta come un adolescente scappato dalla finestra, e delle sue scorribande nel paradiso di un miracoloso amore tardivo. Le nostre anime di notte assume per un buon tratto questo carattere di idillio sospeso e minacciato, custodito gelosamente e assediato dalla malevolenza, vissuto da due anime incanutite cui non resta null’altro che donarsi a vicenda il donabile, nel piacere, oltre ogni verosimile tornaconto, di risentirsi puramente vivi, partecipi e testimoni della propria esistenza. Una condizione meravigliosa e precaria, questa passione distillata dagli anni, che accusa una brutale battuta di arresto quando il figlio di Addie Moore, Gene, minaccia la madre di privarla di ogni contatto con l’adorato nipotino Jamie se non interrompe subito la vergognosa relazione con il vicino. Il coraggio dell’anziana donna si stempera di fronte al ricatto avanzato dalla sua stessa famiglia - e qui è di nuovo perfetta l’intuizione di Haruf nel cogliere la fisiologica, improvvisa e remissiva debolezza di un corpo invecchiato - così che i due amanti si allontanano, fino a riaprire, però, nelle battute conclusive la partita interrotta.

   Le loro voci al telefono, niente di più: al momento tutto quello che resta. “Fin quando potremo. Finché dura.”                     

martedì 13 giugno 2017

LA MISURA DEGLI ANNI VINCE IL PREMIO DI POESIA TAPIRULAN PER SILLOGE INEDITA



La raccolta di poesie 'La misura degli anni' ha vinto la sezione per silloge inedita del Premio Tapirulan. La cerimonia di premiazione si è svolta a Cremona lo scorso sabato 10 giugno. Ringrazio tutti i membri della giuria, presieduta dal prof. Paolo Briganti, ordinario di letteratura italiana contemporanea presso l'Università di Parma, l'ospitalissimo staff dell'associazione Tapitulan, in particolare Lorena Montini e French, e Raffaele Sabatino per l'ottima prefazione al volume edito dalle Edizioni Tapirulan nella collana Impronte. Il libro sarà presto disponibile nelle consuete librerie online, sul sito dell'editore e in una catena di librerie fiduciarie nelle principali città italiane.  

  con il prof. Paolo Briganti dopo la cerimonia di premiazione