VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

mercoledì 19 febbraio 2014

LO SVILUPPO CON L'ANIMA - UN REPORTAGE SU SERIGNE BABACAR MBOW E L'AVVENTURA DEL VILLAGGIO SENEGALESE DI NDEM

Un nido di case e una manciata di anziani nell’immensa piana del Sahel, a due ore e mezzo di macchina, direzione nordest, dalla capitale Dakar: un villaggio inaridito da siccità ricorrenti e spopolato di giovani fuggiti lontano. Questo era Ndem, quando circa trent’anni fa, deciso a tornare nella terra dei suoi avi, vi si insediò insieme ad Aissa, l’ispirata moglie francese, Serigne Babacar Mbow. E’ difficile credere a un tale miracolo, gironzolando per questo mare di sabbia su cui ora fiorisce un armonioso progetto divenuto modello esemplare di sviluppo sostenibile africano. Due pozzi artesiani che danno acqua pulita e abbondante, un’infermeria con farmacia d’emergenza, strutture scolastiche, coltivazioni biologiche e un centro di mestieri che produce capi d’abbigliamento e un combustibile alternativo al carbone composto di buccia d’arachidi e argilla con il quale funziona, tra l’altro, il panificio locale. Un complesso di strutture che sono diventate punto di riferimento per molti villaggi vicini offrendo lavoro a centinaia di persone. E a pochi passi da tutto ciò, cuore pulsante del piccolo universo di Ndem, la daira, ovvero scuola coranica di Serigne Babacar, guida spirituale del luogo nonché maestro della confraternita sufi dei baye fall, filiazione estroversa della più vasta muridiya, che raccoglie in Senegal milioni di seguaci, fondata verso la metà dell’Ottocento dal santo islamico Ahmadou Bamba. Lavoro e preghiera sono i due capisaldi di questi musulmani le cui pratiche non rispondono all’islam ortodosso. I baye fall non ossequiano, generalmente, le cinque preghiere canoniche e non osservano il digiuno di Ramadan, ma ubbidienti a pratiche di devozione di stampo mistico, invocano costantemente il nome di Allah e lo fanno echeggiare nel corso di lunghe preghiere notturne collettive, dove procedono stretti in file circolari raggiungendo stati di ebbrezza spirituale. Sono i sufi più estremi di questo composito islam sub sahariano. Serigne Babacar Mbow, cresciuto nell’amore per questa confraternita e questa via, era ancora un giovane uomo nato da un’abbiente famiglia dakaroise con una formazione accademica in sociologia, quando, tornato dal suo viaggio europeo, anziché reinstallarsi nella confortevole capitale, prese insieme alla moglie una scelta radicale, accampandosi con una tenda e una capanna adibita a piccolo laboratorio di sartoria in un angolo della savana appartenuto ai suoi antenati. Incontrandolo, e mostrandomi stupito di quanto sia riuscito a creare dopo un così modesto e avventuroso inizio, il mio gentilissimo ospite allunga uno sguardo ai suoi animali, ai pavoni che scorrazzano nella daira, ai recinti dei montoni e dei buoi, alle colture di aloe e a una parte della sua famiglia raccolta sotto la veranda di casa. Mi dice sorpreso: “E’ come se non lo avessi fatto io. Tutto ciò è frutto soltanto d’amore.” Amore. Una parola che torna spesso nei suoi discorsi, semplificando e rendendo insieme misteriosa l’azione di quest’uomo pratico e contemplativo, umile e tenace nel suo ruolo di guida religiosa nonché presidente della ONG di Ndem. Scrittore di testi sulla via baye fall e i valori della spiritualità universale, Serigne Babacar viaggia parecchio in Europa, invitato per conferenze e sollecitato dai non pochi partner occidentali, in particolare italiani e francesi, che nel corso degli anni hanno sostenuto i suoi progetti. La lavorazione, la tintura tradizionale dei tessuti e la confezione di abiti che conciliano gusto senegalese e occidentale sono diventati un segno distintivo di Ndem e hanno portato alla creazione della linea e della boutique Maam Samba. Se fino a pochi anni fa le forniture erano in gran parte destinate all’Europa, attraverso catene di distribuzione equo-solidali, la recente scelta di aprire un centro con esposizione, vendita e luoghi di accoglienza in un quartiere in vista di Dakar, ha dirottato le mire sul mercato interno. “Ci sono due ragioni principali che ci hanno indotto a questa scelta. La prima, dopo un decennio di dipendenza commerciale dall’Europa, è la necessità di un’autonomia che garantisca maggiore sicurezza al nostro lavoro a prescindere dalle oscillazioni della domanda esterna. La seconda è la possibilità, per uno spazio come quello inaugurato a Dakar, unico nel suo genere in Africa occidentale, di divenire punto di riferimento e scambio tra partner africani orientati verso progetti di commercio equo solidale e sviluppo sostenibile.” Mentre Serigne Babacar mi racconta tutto ciò, si avvicinano alla veranda Moussa e Fatou, una delle coppie miste senegalo-europee che abitano a Ndem, dove prospera una multiculturalità tollerante, rispettosa e curiosa delle reciproche differenze. Nell’incontro con modi e opinioni diverse, Serigne Babacar sa essere per primo di una delicatezza estrema; gironzola o riceve i suoi continui ospiti incuriosito e discreto, raccontando e soprattutto dimostrando un islam del cuore, infinitamente lontano da qualsiasi connotazione oppressiva o violenta: un islam che realizza in modo autentico la sua radice etimologica di abbandono (aslama) a Dio nella pace (salam), e in questo caso a una pacifica operosità. Condividendo la passione per letture e studi sul sufismo, io e questo saggio ispirato che frequento ormai da cinque o sei anni ci allontaniamo dal gruppo di amici e familiari per raggiungere un angolo della sua camera dove custodisce una piccola ma sceltissima biblioteca, con opere di grandi maestri del passato più e meno recente, da quelle di classici come Al-Gazali e Ibn Arabi fino ai sufi dell’ultimo e penultimo secolo, tra cui qui non poteva mancare il senegalese Ahmadou Bamba con il suo discepolo prediletto Ibrahima Fall, l’originario ispiratore del modo di vivere di questo villaggio, a cui Serigne Babacar Mbow ha dedicato diversi libri. Il Servitore del Profeta, che ho curato e tradotto, è uscito l’anno scorso in Italia per le Edizioni dell’Arco, ed è di prossima pubblicazione, per i tipi di Harmattan Italia, un breve saggio dal titolo Genti dell’Amore. “La tensione verso una spiritualità universale” mi conferma l’amico prezioso prima dell’arrivederci, ”accanto a un approccio interculturale e interreligioso, sono sempre stati tratti distintivi dell’avventura iniziata qui a Ndem. Il confronto continuo con il diverso è un segno di vitalità e un antidoto indispensabile ai rischi della fossilizzazione attorno a pericolosi preconcetti. Tra le figure capitali dell’Occidente, amo in modo particolare quella di San Francesco d’Assisi, che già ai suoi tempi, ispirato da una vocazione straordinaria, ha saputo valicare barriere secolari affratellando uomini dai diversi cammini nella fede in un Unico Signore.” Allontanandomi dal villaggio per riprendere la strada della capitale e contemplando la savana brulla, punteggiata a larghi intervalli da maestosi baobab e qualche acacia, la sensazione di questo miracolo fiorito in mezzo a un’immensità semidesertica torna a conquistarmi, e insieme ad essa la meraviglia per la tenacia e l’amore fusi in un unico slancio di energia vitale che può trasformare le umane opere in una paziente via verso l’Eterno. *

* Il reportage è uscito sul numero di febbraio 2014 della rivista Popoli. Ecco il link:


venerdì 7 febbraio 2014

MAURIZIO PALLANTE - MONASTERI DEL TERZO MILLENNIO - EDIZIONI LINDAU 2013



Per alcuni interpreti di una saggezza pochissimo ascoltata dai governanti, uscire dal pantano morale e materiale cui sono ridotte le nostre società significa praticare ciò che Maurizio Pallante ha battezzato decrescita felice: una forma di progressiva riduzione del superfluo che distrugge il pianeta e il genere umano. La martellante spinta al consumo di beni in larga parte inutili e la massiccia produzione industriale hanno condotto al collasso di ecosistemi incapaci di sopportare un inquinamento smisurato e alla prona accettazione di un’ideologia invaghita di quelle magnifiche sorti e progressive di leopardiana memoria. Non conosciamo più nulla di ciò che consumiamo, l’arte del fare e del produrre artigianalmente è stata sostituita dall’ingordigia di oggetti dal retroterra oscuro, promossa dalla corale informazione del pensiero dominante. “Nelle società industriali, in particolar modo nelle città che ne sono il cuore, nessuno produce nulla di ciò che gli serve per vivere e tutti dipendono dal mercato per ogni esigenza. Il corrispettivo a livello culturale di questa totale mancanza di autonomia è l’esasperazione crescente delle specializzazioni che riduce sempre più l’area di conoscenza di ogni individuo creando barriere insormontabili a ricostruire una visione d’insieme anche all’interno di ogni singola branca del sapere.” Il valore d’uso dei beni che caratterizzava le società tradizionali è stato sostituito dal valore di scambio, e la cultura del dono, come quella della reciprocità, elementi fondanti di molte società pre-moderne, sono state annientate dalla mediazione invasiva del denaro. Il decantato prodotto interno lordo, ovvero il valore monetario delle merci e dei servizi scambiati con denaro, è divenuto il solo indice per misurare la salute di un paese, escludendo elementi di valutazione che riguardano la felicità dell’essere umano nel suo senso più completo. Pallante non è così assolutista da non vedere anche certi lati positivi dell’attuale forma di progresso, ma il costo a cui ci espongono tali vantaggi rimane inaccettabile. Di fronte a questo dissesto generalizzato, la provocazione contenuta nell’ultimo libro del fondatore del movimento della decrescita felice è quella di un ritorno all’antica civiltà dei monasteri, alla qualità morale e spirituale del loro fare e del saper essere centri produttivi ispirati da una nobile, religiosa idea dell’uomo. Nella fase attuale della storia, le istituzioni monastiche possono essere considerate modelli di riferimento per scelte di vita alternativa e risultano particolarmente eloquenti attorno a tre nodi cruciali della crisi contemporanea: il rapporto con il territorio, tradotto nel lavoro, quello con gli altri, incarnato nell’economia e nella socialità, e quello con se stessi, fecondato da un’autentica riflessione sul senso complessivo dell’esistenza. I nuovi cantieri della rinascita non saranno ovviamente il calco degli antichi monasteri, ma ne conserveranno i motivi ispiratori applicandoli a forme di aggregazione inedite. “I monasteri del terzo millennio non richiederanno necessariamente voti di obbedienza a regole, né comunioni di beni mobili e immobili. Saranno strutture leggere, o meglio ancora non-strutture, semplici luoghi d’incontro in cui si ritroveranno, per scelta e affinità, persone e famiglie che avvertono in modo particolarmente acuto il disagio, la sofferenza e i limiti di vivere in un sistema economico finalizzato alla crescita della produzione di merci e desiderano annettere più importanza alle relazioni umane che alla produzione di merci, collaborare invece di concorrere, ridurre la propria impronta ecologica e la propria dipendenza dal mercato, producendo non solo valori di scambio, ma anche valori d’uso ogni qualvolta sia conveniente.” Principi che stanno trovando applicazione nel neonato Agrivillaggio Vicofertile (www.agrivillaggio.com), in provincia di Parma, nuovo laboratorio e punto di riferimento della decrescita felice. 

Maurizio Pallante