VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

lunedì 26 dicembre 2011

THOMAS PYNCHON - L'INCANTO DEL LOTTO 49



Pubblicata quarant'anni fa, questa spericolata avventura linguistica e romanzesca di Thomas Pynchon ha inaugurato la letteratura post-moderna. Attraversato da inventività stilistica e fantasia di intreccio straordinarie, il capolavoro del misterioso e pubblicamente quasi invisibile scrittore americano nato nel 1937 racconta della giovane Oedipa Maas, laureata in letteratura inglese, che viene inaspettatamente nominata esecutrice testamentaria del suo ex amante Pierce Inverarity, magnate immobiliare californiano. Oedipa lascia a casa il marito Mucho Maas, impasticcato deejay radiofonico ex venditore di macchine usate, chiede consiglio al frustrato e marpione avvocato Roseman, abbassa il telefono al dottor Hilarius, psicoanalista smarrito in esperimenti lisergici, e si dirige verso San Narciso, nei pressi di Los Angeles, quartier generale dei molteplici affari del defunto Pierce. In un motel scelto nella cornice di un desolante paesaggio industriale della bassa California incontra il coesecutore testamentario Metzger e qui hanno inizio le rivoluzioni pirotecniche della trama che trasformano la protagonista del romanzo in un'icona del delirio postmoderno, riflesso ironico di un ubiquo caos esistenziale e sociale. Nel bel mezzo di una scappatella amorosa, il rampante Metzger finisce a terra nel bagno accanto a Mrs. Mass, entrambi ubriachi e atterriti da un'impazzita bomboletta di lacca per capelli che vortica nell'aria e sbatte contro le pareti spumeggiando ovunque. I due esecutori del testamento Inverarity, temporaneamente rinsaviti, vanno a teatro e assistono alla rappresentazione di una cruenta tragedia rinascimentale, "La Tragedia del Corriere", di un certo Richard Wharfinger, raccontata in una dovizia di particolari che rivelano oscure relazioni con la miliardaria eredità di Pierce. Ad emergere con forza inquietante è l'ineffabile Tristero, un misterioso sistema secolare nato in contrasto con la prima rete postale cinquecentesca, il Thurn und Taxis. La preziosissima raccolta di francobolli di Pierce Inverarity comprende pezzi che portano proprio l'effige di questo sistema, il cui messaggio è veicolato dall'immagine di un antico corno da postiglione e di un tasso morto. L'apparente casualità degli incontri e delle scoperte di Oedipa la conducono sull'orlo di stralunati dilemmi metafisici che tra mille assurdità diventano il motore della storia. Sulle orme del Tristero, attorno a cui si farà luce solo parzialmente, la giovane laureata in letteratura inglese incapperà in un membro della CIA, non quella che pensiamo, ma la Conjuration de los Insurgentes Anarquistes, che promuove l'avvento del miracolo anarchico. La seducente Oedipa, perenne ricettacolo di avance di uomini mandrilli, valicherà la soglia della pazzia per fermarsi appena in tempo. Una pazzia, sembra suggerirci il romanzo, che è l'epifania della caducità e della frastornante interscambiabilità delle occupazioni umane. E a nulla servirà un ritorno alle cure del dottor Hilarius. Lo psicoanalista, in piena paranoia, è barricato nel suo studio e si protegge armato di fucile dalla possibile incursione di israeliani che vorrebbero processarlo per i suoi trascorsi antisemiti. Ovunque ci si volti è delirio grottesco e disperato. Il regista della tragedia di Wharfinger, Randolph Driblette, si getta nel Pacifico, l'occasionale amante Metzger molla tutto per un'adolescente rocchettara, il marito Mucho Maas rimane bloccato al crocevia dei suoi viaggi acidi. Oedipa, non sappiamo con quale futuro, si presenta alla messa all'incanto, lotto numero 49, dei falsi francobolli di Pierce Inverarity. Tendendo un occhio alla data di pubblicazione di questo classico di Pynchon, facciamo fatica a non considerare tanti recenti epigoni, trash o pulp che siano, come malcerti cloni fuori tempo massimo. 

Thomas Pynchon

martedì 20 dicembre 2011

CHUCK KINDER - L'ULTIMO DANZATORE DI MONTAGNA


Chuck Kinder, sessantaquattrenne, è uno dei più affascinanti narratori americani contemporanei: una leggenda dalla fama discreta, giocoliere della vita in bilico tra un’infinità di mestieri, whisky ed eccessi, dotato di un talento che sprizza a ogni pagina con un senso di vitalità inconfondibile e uno spudorato coraggio nel cogliere vizi e virtù proprie e altrui. Dopo un clamoroso esordio, nel 1973, con il romanzo di formazione Snakerhunter, non ancora tradotto in italiano, dopo Silver Ghost, del 1978, e quel voluminoso libro che si intitola Lune di Miele, pubblicato nel 2001, in cui racconta la sua lunga amicizia con Raymond Carver, Kinder si concede un anno sabbatico e si allontana dall’Università di Pittsburgh, dove è direttore del programma di scrittura creativa, per ritornare alla sua terra d’origine, il West Virginia. Inizia così una corsa a ritroso nel suo lontano passato, un incrocio di luoghi e personaggi mitici e familiari, figli di una terra montagnosa e selvaggia, abitata da folli ed eroi di provincia, contrabbandieri e solitari alcolisti rintanati in bettole sperdute tra vallate brumose incise da fiumi millenari. Lo scrittore in vena di bilanci esistenziali copre la regione in lungo e in largo, scova parenti ignorati da secoli e rievoca le durissime vite dei minatori di un tempo, pressoché schiavizzati dai vecchi baroni del carbone americano. Le storie che racconta sono di una grande varietà e compongono un’anomala autobiografia, insieme racconto della propria terra e di sé stesso. Il ricordo di una domenica trascorsa in piscina riapre le ferite di un bambino stretto tra umiliazioni e rivincite, canzonature subite per il piccolo difetto a un testicolo e pietà verso una bambina dal volto orripilante. L’esplorazione con il telescopio dell’universo in compagnia dell’amico secchione Johnny Menser termina in una fuga a gambe levate davanti a una misteriosa astronave apparsa nella boscaglia. E’ la mitologia della prima gioventù, carica di enfasi, sorprese e scosse che si imprimono nel carattere. Memorabile il ritratto del padre nel giorno in cui mostra all’intera cittadina il suo numero di tuffatore mettendo in ombra le prodezze di Capo Aquila in Volo, millantatore travestito da indiano di origini squisitamente italiane. Ma ancora più intensa è la rievocazione della madre immaginata nel giorno in cui compie cinquant’anni e celebra un personale, straziante funerale delle illusioni perdute. Chukh Kinder guarda sé stesso nelle molteplici versioni che assume lungo il corso della sua vita accidentata. A diciassette viene coinvolto in sette rapine a mano armata dentro e fuori Atlantic City, al seguito dell’avanzo di galera Morris Hackett, che tiranneggia su di lui come un criminale impazzito fino a quando, in una notte spettrale, non riuscirà a liberarsene. L’amore acrobatico con la giovane e piccantissima Holly vissuto dallo scrittore sposato, malandato e cinquantenne, è un’ennesima follia in cui si mescolano speranze insensate, bugie e sognanti derive. Le perlustrazioni dell’inquieto professore di Pittsburgh si spingono fino a covi di gay montanari, sale da biliardo e fast-food che abbondano di stivali a punta, tatuaggi, fucili e pistole. Spinelli e pastiglie allucinogene aiutano a farsi coraggio. La scrittura, ricca e precisa, distante dal minimalismo del vecchio compagno Carver, assume a tratti i toni di una psichedelica scampagnata on the road. Il danzatore di montagna del titolo è Jessico White, l’ultimo ballerino di tiptap degli Appalachi, un “cugino” fuorilegge che assurge alla gloria grazie al documentario Jessico Goes to Hollywood e che sopravvive nel mito di Elvis Presley, di cui si spaccia per il fratello gemello morto e occultato poco dopo la nascita. “Nelle fosse nere e senza fondo di quegli occhi immaginavo di vedere un miscuglio di rabbia, follia, dolore, paura e diffidenza, una capacità infantile di provare tristezza, meraviglia e solitudine, oltre a un guizzo di qualcosa che si avvicina alla tenerezza, e da qualche parte, in un remoto anfratto di quegli occhi indemoniati, splendeva la sua inclinazione alla gioia e alla fama, insieme a un’infantile propensione per la violenza incontrollata, così sconfinata da far paura. Erano occhi in cui fantasticavo di vedere riflessi i miei.”

Chuck Kinder

lunedì 12 dicembre 2011

UN INCONTRO CON GIANNI CELATI A DIOL KADD


Durante un incontro nei pressi dell’Università di Dakar, Mandiaye Ndiaye, regista e storico attore senegalese del Teatro delle Albe di Ravenna, inizia a parlarmi di una nuova versione del Pluto di Aristofane che ha intenzione di mettere in scena - o mettere in vita, come ama precisare - con gente di campagna e in piena Africa rurale. E’ così che giungo a Diol Kadd, villaggio natale di Mandiaye, una manciata di capanne sperduta nel sahel dove mi ha preceduto di qualche giorno Gianni Celati con i suoi due operatori Lamberto Borsetti e Paolo Muran. L’idea della piccola troupe è quella di filmare le prove del Pluto, progetto da cui germinerà strada facendo un’opera autonoma pubblicata dopo una lunga gestazione da Feltrinelli. La documentazione del lavoro teatrale scivolerà in secondo piano lasciando spazio a un delicato e vivissimo quadro di vita africana completato dai diari tenuti da Celati nel corso di un work in progress durato quattro anni. Passar la vita a Diol Kadd è una testimonianza scaturita da un modo di registrare gli eventi insieme partecipe e trasecolato, che limita al minimo necessario le intromissioni in un ambiente estraneo, osservando con un filo di rimpianto e un altro di desiderio un mondo lontano dagli attuali canoni occidentali e vicino per certi aspetti a quel che poteva accadere nelle nostre campagne mezzo secolo fa. “E’ un’amica comune, Ermanna Montanari, che ha fatto da tramite” mi racconta Celati quando le chiedo della sua amicizia con Mandiaye e dell’avvio del progetto. “Dopo una lunga serie di contatti ci siamo ritrovati in Senegal con il proposito di girare un documentario a Diol Kadd. Io ho idee continuamente confuse, mentre Mandiaye, la seconda o la terza volta che ci siamo visti, aveva già scelto una commedia di Aristofane, Il Pluto, da trasformare in lingua wolof attingendo alle mitologie dei contadini e delle campagne africane. Quest’avventura è iniziata grazie a lui. Quando sono arrivato qui il lavoro era già avviato e si stavano facendo le prove con lo straordinario Moussa Ka, il servitore della commedia, altro grande amico. 


Gianni Celati e Vincenzo Maria Oreggia a Diol Kadd nel 2006

Era l’estate del 2003 e non capivo ancora nulla di ciò che accadeva, ma a colpirmi subito fu l’eccezionale partecipazione della gente, con un’intensità che faceva risuonare ogni più piccola inflessione della voce. Ricordo quelle sere come l’ideale di tutti i teatri, dove si vede poco e tutto vibra in modo impressionante. La storia era quella di un contadino e del suo servo: il contadino di Aristofane che si stanca di essere povero e si rivolge all’oracolo per sentirsi dire che il primo cieco lungo il suo cammino sarà il dio della ricchezza ed è lui che dovrà curare. Moussa, nella parte di servitore, era un brontolone un po’ retrivo di campagna che stupiva per la gesticolazione da derviscio e per il talento di improvvisatore insofferente a qualsiasi copione. Il teatro, quando è tutto apparecchiato lì per bene e si riduce alla sola rappresentazione, mi dà un’impressione mortifera. Qui a Diol Kadd era invece tutto pieno d’anima, con i due cori maschile e femminile che si scontravano prendendo rispettivamente le parti del padrone e del servitore. Ero confusissimo ma avevo l’impressione di qualcosa che raramente vedi nelle forme teatrali, ed è così che mi è venuta l’idea di provare all’esterno, nelle strade. Rivedendo ciò che abbiamo realizzato il primo anno, la cosa più interessante rimane comunque questa partecipazione del villaggio, che avvertivo pur senza comprendere nulla dei discorsi. L’anno successivo, nel 2004, mi sono poi concentrato sul profilo drammaturgico e ho cominciato a scrivere piccoli testi per sviluppare l’idea della commedia, che si è allontanata dal suo impianto tradizionale. Quando abbiamo fatto parlare ad esempio la moglie del contadino ne è venuto fuori un numerino delizioso di recita paesana. Alcune signore del vicinato si avvicinavano liberamente e imparavano a loro volta una parte. A un certo punto abbiamo trovato un imperdibile dio della ricchezza, l’ex portiere della nazionale di calcio senegalese, che è diventato un buon compagno di lavoro. Aveva una malleabilità particolare e una dedizione assoluta al progetto, ma non voleva memorizzare nulla leggendo, costringendoci a mettergli ogni volta le parole in bocca, con un conseguente personalissimo processo di adattamento. Non so ancora come farò a trasporre questa lingua, il wolof, per me intraducibile, in italiano. Nel film che giriamo l’evento teatrale assumerà necessariamente una nuova dimensione. Ho in mente una specie di diario parallelo alla scena itinerante.” Continuando a parlare del Pluto, commedia in cui le divinità entrano in diretto contatto e condizionano le scelte degli uomini, la conversazione si orienta verso quella porta che in Africa, contrariamente a quanto accade in Occidente, rimane sempre socchiusa tra l’ordinario e il soprannaturale.

Passar la vita a Diol Kadd. Diari 2006-2006. Con DVD
Passar la vita a Diol Kadd, edito da Feltrinelli nel 2011

"Presso gli antichi sacer significava invece allo stesso tempo due cose, manteneva una costante ambivalenza, che in Africa è ancora sentita. Quando, come nelle nostre società, la si abolisce, il sacro è messo a tacere. Superando limiti interdetti e contravvenendo a tabù ancestrali metti in crisi il sacro ma al tempo stesso lo riveli, come accade nelle cose che riguardano il sesso. La pornografia è un caso tipico in cui questo processo non è più possibile perché tutto è senza veli e non c'è più nulla da desacralizzare. L'uomo europeo tende a ignorare questa soglia ambigua, laicizzando tutto.” La distanza tra il modo di percepire l’esistenza in Occidente e in Africa è un argomento caro a Celati. Intercetta una delle principali ragioni per cui si è spinto quaggiù. “La sfera del soprannaturale è una dimensione che gli europei accettano difficilmente. Pur tenendo in debito conto il punto di vista della scienza, non bisogna mai dimenticare che ne esiste un altro. In quanto esseri umani siamo entrambe le cose e dobbiamo accettare di essere proprio così, spaccati in due. Ignorarlo conduce a disastri. Lo puoi constatare negli americani: è come se si fossero tirati via un pezzo di lobo mentale, trasformando tutto in qualcosa di funzionalistico. E' una stupidaggine bloccare cose che ci accompagnano fin da quando siamo bambini, che danno sostanza alla nostra immaginazione e abitano quel che chiamiamo l’inconscio. Che sia difficile tenere i piedi in entrambi gli aspetti è un fatto che non ci consente di obliterarne uno, come fanno i fanatici del dato scientifico. Giudicare una delle due dimensioni inferiore e inconciliabile con l’altra è un forzatura tecnicistica che produce la perdita di quella preziosa zona interstiziale che è il nucleo più fervido e importante della nostra vita.” Ma anche l’atmosfera miracolosamente integra di Diol Kadd, dove uomini dai gesti tranquilli dialogano con il soprannaturale, è attraversata dal pericolo della modernizzante rovina. “Una sera siamo usciti col carretto per fare un giro in un paese qui vicino. Era già buio e siamo sfilati accanto ad abitazioni in cui era già arrivata la luce elettrica. Era strano scorgere i pali della luce e intuire qua e là nel buio la presenza di un frigorifero o di una televisione. Provo a immaginare come sarà qui tra dieci anni e ho l’impressione di vivere in uno stato sospeso. Tutta questa parte d’Africa ha quest’aria di sospensione. Quando sono stato in Mali mi sono innamorato della sua gente pacifica e mi chiedevo da dove venisse quella serenità straordinaria. Muoiono in media a quarantatré anni, vivono con un reddito di pochi dollari, se gli regali un sacco di miglio vanno avanti per sei mesi, eppure continuano a passare le loro giornate in questo stato edenico, sospeso, con qualcosa di sconosciuto che incombe ma non li intacca.”

venerdì 2 dicembre 2011

PAUL THEROUX - UN TRENO FANTASMA VERSO LA STELLA DELL'EST


A sessantacinque anni, Paul Theroux, il grande scrittore di viaggi americano, autore tra l’altro insieme a Bruce Chatwin di Ritorno in Patagonia, compie un’impresa coraggiosa e ripercorre un fantastico itinerario della sua gioventù. Parte da Londra e con mezzi quasi esclusivamente di terra attraversa l’Europa orientale, il Medio Oriente, l’Asia centrale, il Sudest asiatico, sale in Giappone e rientra alla base completando la Transiberiana. Trentasei anni prima, il resoconto dell’avventura diede origine a Bazar Express, pubblicato nel 1975 e suo primo successo internazionale, ora offre invece il materiale a questo libro ricchissimo e affascinante, pervaso da grazia stilistica e da un’innumerevole serie di informazioni che ne fanno un vero e proprio affresco del mondo contemporaneo, essenziale per conoscere senza infingimenti mediatici la realtà in cui viviamo “Una delle tante soddisfazioni del diventare vecchi” si legge nelle prime folgoranti pagine del lungo reportage narrativo, “è quella di poter prendere il ruolo di testimoni di un mondo che traballa e osservare trasformazioni irreversibili. Gli svantaggi sono invece il tedio di dover ascoltare le idee illusorie dei giovani e soprattutto le opinioni trite di gente che dovrebbe avere più buon senso ma è ancora più inesperta: tutte le bugie sul progresso, la paura, il nemico, la guerra.” Il bilancio delle appassionate peregrinazioni di Theroux, per cui il lusso è nemico dell’osservazione e l’unico modo per capire è mescolarsi alla polvere delle strade, è decisamente pessimista. Il pianeta sta invecchiando molto male e miliardi di persone sono oppresse da governi ingiusti. Le dittature prosperano, tollerate o sostenute per convenienza dai moderni imperi. Le notizie dal Turkmenistan, dall’Uzbekistan o dalla Birmania sono terrificanti. Tiranni e generali sanguinari imperversano e hanno imperversato senza agitare più di tanto la comunità internazionale. Quanti conoscono la storia del dittatore turkmeno Saparmyrat Niyazov o di Karimov? Il miracolo economico indiano si poggia sulla sfruttamento di un’immensa e diligente manodopera; la sovrappopolazione comprime gli spazi vitali e mezzo miliardi di esseri umani vivono con un dollaro al giorno. Tutte le grandi potenze, a prescindere dal colore politico, scontano il prezzo dell’ingiustizia per nutrire i loro privilegi; l’autoritarismo e l’arbitrio legislativo appaiono elementi necessari di una catena alimentare estesa a livello planetario. Ma anche il sogno realizzato del benessere giapponese è diventato un universo di perversa superficialità e standardizzato appagamento, dove regnano romanzi a fumetti, manga e supermercati di un sesso consumato in tutti modi possibili. A Tokyo, Theroux trascorre una giornata in compagnia del più appartato e famoso scrittore nipponico, Murakami Haruki, che gli fa da anfitrione tra vasti sex shop e ambienti di un’eleganza raggelante. Le visioni di Huxley e Orwell sono realizzate. Ma nonostante le atrocità, il viaggio non si ferma e gode di momenti più sereni in angoli di paradisiaca bellezza naturale o negli incontri casuali con gente comune, memorabile per intensità e generosità umana. Il treno fantasma di Theroux corre soprattutto alla ricerca degli umili, degli sguardi semplici, dei regali spirituali che capitano al viaggiatore come gemme nascoste sotto il fango e resistenti a qualsiasi dolore. Che siano conduttori di risciò, anziani professori squattrinati che sgranano rosari sotto i colpi del regime, coppie di anziani che si ritirano con saggia mestizia da un terra irriconoscibile. Nelle pagine del libro vengono spesso ricordati dal coltissimo scrittore nativo di Medford, nel Massachusett, grandi protagonisti della letteratura di ogni tempo, da Mark Twain a V.S.Naipaul, da Kiplig a Thoreau, da Conrad a Salinger a molti altri, ognuno pescato per qualche suo notevole tratto distintivo. In uno Sri Lanka funestato dalla sanguinaria azione degli indipendentisti tamil e ancora pesantemente segnato dal recente tsunami, Paul Theroux si reca in visita all’ottantanovenne Sir Arthur C. Clarke, l’autore di 2001: Odissea nello spazio, arzillo vecchietto che abita nella capitale Colombo, in bilico tra reviviscenze di tempi lontani e sporadiche accensioni fantascientifiche. Sono così tante le suggestioni sparse in queste cinquecento pagine che è difficile districarsi tra i passi sottolineati. E’ un libro da leggere per gli aggiornamenti politici e sociali, per rettificare le opinioni convenzionali di chi vive protetto dalla scabra verità. Ma è anche il libro di un uomo tenace e complesso nell’alternanza di slanci e riflessioni, memorie personali, storiche e segrete commozioni. Il tutto temperato da una maturità in raggiante forma. “Con l’età si acquista la capacità di apprezzare il decadimento, l’epifania di Wordsworth, la saggezza del wabi-sabi: nulla è perfetto, nulla è completo, nulla è durevole.” 

Paul Theroux