VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

lunedì 25 febbraio 2019

PHILIP ROTH - PERCHE' SCRIVERE - EINAUDI 2108



Potremmo scegliere diverse porte per entrare in questa illuminante miscellanea del grande scrittore americano scomparso il 22 maggio scorso. La sezione iniziale, che ripropone, parzialmente rivista e per la prima volta in italiano, la raccolta di scritti Leggere me stesso e altri, spazia da un saggio narrativo su Kafka, in cui Roth immagina il genio praghese scampato al regime nazista e approdato negli Stati Uniti, a interventi che raccontano come molti romanzi del maestro originario di Newark, smontando i diffusi e accomodanti pregiudizi attorno al classico tipo dell’ebreo probo e remissivo, abbiano trovato forti resistenze proprio in seno alla comunità ebraica, procurando all’autore l’accusa iniqua quanto paradossale di avere favorito grazie alla sua opera atteggiamenti antisemiti. E ciò a partire dal primo clamoroso successo, Lamento di Portnoy, del quale viene descritta, accanto alla controversa accoglienza, la genesi lunga e tortuosa. 

Philip Roth premiato dal presidente Obama, nel 2011,
con la National Humanities Medal

Lavoratore instancabile, Philip Roth, la cui prosa di sontuosa e armonica complessità è frutto di una dedizione assoluta, quasi monacale, all’arte della scrittura, ha pubblicato nel corso della sua feconda carriera trentuno opere di altissima e costante tenuta qualitativa, oscillando sempre, ad ogni uscita, e per circa mezzo secolo, dal notevole all’eccelso. Un’officina creativa tra le maggiori della letteratura contemporanea, scoperta spesso, nei retroscena, dalle pagine di questo volume imperdibile, e non solo per i suoi appassionati. La parte seconda, Chiacchiere di bottega, riproduce una serie di articolate conversazioni con autori del calibro di Aharon Appelfeld, Primo Levi (“concentrato e immobile”, nella sua casa torinese, “come uno scoiattolo che osservi qualcosa di sconosciuto dalla cima di un muretto di pietra”), Ivan Klima, Isaac Bashevis Singer, Milan Kundera, oltre ai ritratti e le folgoranti ricognizioni sull’arte di Bernard Malamud, dell’amico pittore Philip Guston (al secolo Goldstein) e di Saul Bellow. Nella parte conclusiva - Spiegazioni -, torna di nuovo a fare da protagonista la produzione di Roth, considerata però da prospettive più eccentriche, che alimentano di note curiose e private quella terra magmatica di circostanze vere e presunte all’origine di un’opera che in modo soltanto riduttivo può essere definita di ispirazione autobiografica. Creare infatti l’illusione dell’intimità e della spontaneità, insegna il romanziere, significa essenzialmente “inventare un’idea del tutto nuova di come si fa a trasmettere la sensazione di ‘essere se stessi’”. Qualcosa di ben diverso da una semplice rielaborazione di eventi vissuti. Un’eterna, piuttosto, e superba questione di stile.         

ABRAHAM YEHOSHUA - IL TUNNEL - EINAUDI 2018



Inizia in sordina, con piccole falle, tasselli di memoria sfuggenti che inducono l’ingegnere stradale in pensione Zvi Luria a un controllo medico, dal quale risulta una lieve atrofia del lobo frontale, probabile avvio di degenerazione neuronale. Accanto a lui c’è la moglie Dina, dottoressa prossima al pensionamento: una coppia di anziani ancora pieni di amorose attenzioni e non sedata attrazione. L’ultimo romanzo dello scrittore israeliano racconta di un ospite ingrato e improvviso - morbo o demenza senile - che entra nella vita, alterando, sovvertendo, ma anche mettendo alla prova la capacità stessa di amare e proteggere. Yehoshua ci immerge nella mente e nel corpo di Luria, nelle preoccupazioni e nelle sparse amnesie che somigliano a stordimenti capaci di trasformarsi in strane avventure, derive che fanno slittare i segnali di una patologia in episodi fantastici. Non è tanto il dramma del progressivo disadattamento che interessa il romanziere, quanto piuttosto la traccia che sfugge a definizioni patologiche e conferisce una particolare facoltà di abbandono a un uomo che in modo riduttivo definiremmo malato. 

Abraham B. Yehoshua

Le eccessive apprensioni di Dina e dei familiari, che vorrebbero stringerlo in un’asfissiante rete di controlli, è lo specchio della diffusa incapacità di accogliere senza pregiudizi clinici quella che chiamiamo demenza. Dina è centrale, amorevole, necessaria, anche se esorbitante nel voler prevenire le defaillance del marito (un misto di ansia, compassione e complicità evocata splendidamente nel libro). Affinché l’ex dirigente mantenga vive le abilità intellettuali, è invitato ad affiancare un giovane ingegnere, Maimoni, che progetta una strada militare a sud del paese, nel cratere Ramon, dove il principale problema è quello di convincere i responsabili del progetto a risparmiare una collina, preferendo alla distruzione un tunnel che la attraversi. Alcuni sopralluoghi di Maimoni e Luria nel sito remoto diventano l’occasione di spostare la ‘demenza’ in un contesto imprevisto, di fronte a problemi e paesaggi naturali inattesi. In cima alla collina, tra antiche rovine nabatee, vivono un vecchio insegnante palestinese con il figlio e la figlia Ayalà: personaggi dalle identità incerte, provenienti da un villaggio oltre confine, ancorati per via di una complessa vicenda a quell’isolato pezzo di terra, non più palestinesi e non ancora israeliani. È così che Yehoshua colloca la storia di Luria nell’orizzonte delle ferite aperte tra Israele e i territori limitrofi. E la visionaria e sibillina conclusione del romanzo avrà per contesto proprio la collina sperduta insieme all’eponimo tunnel, al quale il vecchio ingegnere tornerà, di nascosto, nel corso di una giornata e di una notte pindarica, dove ciò che da fuori potrebbe apparire come un pericoloso smarrimento è in realtà la tenace decisione di capire quello che davvero sta succedendo: in fondo a un’anima, certo, prima che in un’anomala macchia registrata sul lobo frontale.