VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

mercoledì 4 settembre 2019

LAURENS VAN DER POST - IL CUORE DEL CACCIATORE - ADELPHI 2019



Nato in Sudafrica, nel cuore del territorio dei boscimani, da una famiglia di origini boere, Laurens van der Post sperimenta fin da piccolo il senso di un’intimità assoluta con la natura di quei luoghi e ha modo di assaggiare precocemente - attraverso la sua vecchia tata di colore, Klara, di madre boscimana - i racconti straordinari delle genti che prima della loro quasi totale estinzione a seguito di reiterati soprusi e feroci campagne di assimilazione li abitavano da più di ventimila anni, contendendo ai pigmei dell’Africa centrale il primato della longevità sul Continente. Organizzati in gruppi familiari, massimo una trentina di persone di corporatura minuta e grande resistenza, questi ultimi sopravvissuti dell’età della pietra, detentori di sapienza e segreti ancestrali, disdegnano il raggruppamento in comunità più vaste così come, in genere, l’astratta conoscenza dei numeri, prediligendo il nomadismo e vivendo da cacciatori e raccoglitori lungo le sconfinate lande desertiche del Kalahari. Lo scrittore ed esploratore che combatté nelle fila dell’esercitò britannico, fu imprigionato e torturato per tre anni dall’esercito giapponese, dedicò una parte importante della sua vita e del suo lavoro alle ricerche sull’universo dei boscimani. Il mondo perduto del Kalahari, pubblicato nel 1958, fu il primo brillante risultato, seguito dall’omonimo documentario realizzato per la BBC e da questo libro, tradotto in italiano dopo quasi sessant’anni dalla sua comparsa, che raccoglie le scoperte di un intellettuale raffinato e ricco di esperienza, capace di intrecciare le competenze dell’etnologo militante e quelle del profondo studioso di miti e simboli (si avvicinerà alle teorie di Jung) unite al talento del narratore di razza. Sempre mirabili sono le descrizioni del paesaggio in cui si muove, che sanno restituire con meticolosa capacità immaginativa le variazioni della luce, le mutevoli condizioni degli eventi atmosferici, le più sottili sfumature del cielo, delle albe, dei tramonti, degli agglomerati di nubi temporalesche che si gonfiano in benefiche promesse di pioggia all’orizzonte delle immense piane desertiche. Raccontando la spedizione nel Kalahari in compagnia di fidati operatori e del mitico Dabé, guida nativa, Laurens van der Post si avvicina con formidabile capacità di ascolto alle esistenze dei cacciatori nomadi, che ha modo di incontrare in un ambiente miracolosamente intatto, e dai quali assorbe un’eccezionale quantità di informazioni. Le prodezze della caccia con arco e frecce avvelenate agli animali erranti negli immensi spazi di sabbie e terre rosse, struzzi, tassi, zebre, istrici, grandi predatori oltre a svariate specie di antilopi, gli eleganti steenbuck, i veloci e balenanti druiker, le danzanti saltatrici springbok, il nobile e possente eland, e poi la luna, gli immancabili fuochi notturni, la traccia opalescente della Via Lattea e le luminose stelle protettrici: ogni creatura o elemento del paesaggio è un tutt’uno con l’anima del boscimano, che se ne serve e da cui è servito. Restando immersi in un contesto simile, la natura, anche per l’animo del viaggiatore, diviene “una faccenda personale” e “qualsiasi nozione scientifica se ne abbia svanisce rapidamente fino a che nella mente non rimane più nulla di astratto.” Lo scrittore fa tesoro di racconti iniziatici, comprende il senso profondo del riso primitivo, il dono della mimica, “uno dei maggiori talenti del boscimano”, verifica la straordinarietà delle sue percezioni extrasensoriali, condivide gesti e forme del vivere uguali da mille anni.

            boscimani sotterrano uova di struzzo riempite d'acqua, che serviranno da scorta lungo il cammino 

È un equilibrio umano e cosmico che resterà immutato fino a quando l’armonia del Kalahari e dei suoi cacciatori verrà compromessa dall’insolenza occidentale e dalla pressione di aggressive popolazioni nere. La stessa sopravvivenza fisica dei boscimani, vessati da deliranti multe per la loro semplice attività di caccia, costretti a lavori insostenibili, detenuti per futili motivi, violentati e spesso così alienati da impazzire, sarà minata fin quasi all’estinzione. Di ritorno dalla spedizione nel deserto, il loro estimatore e amico bianco, che si era già fermamente opposto all’apartheid, intercede presso un alto rappresentante del governo affinché prenda provvedimenti utili ad arginare il processo di sterminio. Qualcosa le autorità faranno per rendere la fine di un popolo più lenta e meno dolorosa, ma un altro male, più profondo, resterà invece senza alcun rimedio: un vizio che mina alle fondamenta la nostra esausta modernità. Laurens van der Post spende parole memorabili illustrando le mancanze e la futilità di un uomo cosiddetto progredito che non riesce più a guardare la realtà “con gli occhi dello spirito oltre che con quelli del corpo”. “Il problema”, riflette sugli errori dei dominatori occidentali, “era che vedevamo gli africani solo con l’occhio esterno e non anche con l’occhio del cuore, e secondo me non è possibile conoscere realmente gli esseri umani se non li si guarda anche in quel modo, in altre parole se non li si conosce anche attraverso il senso di meraviglia che suscitano in noi.” Lo studioso di miti primordiali si allea con il lettore del Nuovo Testamento e non usa mezze misure di fronte alla miseria dell’uomo contemporaneo. “Siamo sempre mendicanti rispetto a quello che eravamo nati per diventare. È il rifiuto o l’incapacità di riconoscere questo che sbarra la strada e crocifigge l’uomo nuovo in noi. Ed è questo il significato del grido: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Siamo un popolo, anzi un’intera epoca, chiuso nell’oscura nube di quell’ignoranza.” La terza e conclusiva parte del Cuore del cacciatore, dopo i contatti intimi con la vita dei boscimani e della loro casa di sabbia e stelle, la cronaca dolente dell’epilogo e la constatazione della povertà spirituale cui si sono condannate le nostre società con la tracotanza delle loro menti, torna a riflettere sul mondo creaturale del deserto. 

Laurens van del Post

I panni dello studioso di simboli e segni si avvicendano a quelli del filosofo e del viaggiatore, e dai toni del reportage passa alla decifrazione della cosmogonia boscimana, le cui tracce sono ancora visibili nelle celebri pitture rupestri, dove a fare da protagonisti sono gli animali e le loro metamorfiche sembianze, a partire da quella creatura sacra che è incarnazione del primo spirito: Mantide, espressione dell’unico Senso, significato stesso della creazione, sogno che si è fatto carne. E da Mantide si scende e ci si espande, arricchendo un delta meraviglioso, un grandioso albero genealogico composto di nomi ma soprattutto avventure, lotte, trasformazioni vissute da elefanti, manguste, babbuini e molte altre concrete e visionarie manifestazioni della vita che permettono al boscimano di accedere al significato più radicale del conoscere e, specularmente, a quel “senso di essere conosciuto”. Un senso di parentela universale con qualsiasi cosa incontri, arcanamente reciproco e così forte che gli consente di rivolgersi agli astri “come fossero membri della sua famiglia”.