VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

venerdì 24 novembre 2017

HELENA JANECZEK - LA RAGAZZA CON LA LEICA - GUANDA 2017

 

Poco più di trecento mirabili pagine che in un’architettura caleidoscopica proliferano attorno al fulgido cuore di Gerda, al secolo Gerta Pohorylle, leggendaria fotoreporter di guerra travolta giovanissima da un carro armato al ritorno dal fronte di Brunete, dove documentava la Guerra di Spagna al fianco delle milizie antifasciste. Filando un tessuto composito di cronaca e immaginazione e dando prova di uno stile che non di rado riverbera lampi da grande scrittrice, Helena Janeczek ricostruisce la vita di uno spirito libero e avventuroso che ha intercettato momenti e personaggi cruciali della storia e dell’arte del secolo scorso. Le voci cui affida il ruolo di testimone della vicenda sono quelle di due innamorati dell’ammaliante esule di origini ebraiche stanziata a Parigi e in fuga dal nazismo montante nella nativa Germania: il ricercatore emigrato negli USA Willy Chardack, corteggiatore eternamente frustrato che nel corso di una passeggiata nostalgica per North Buffalo la ricorda a distanza di molti anni, e il dott. Georg Kuritzkes, impegnato in indagini scientifiche attorno a luce e colori, ex membro delle brigate internazionali in Spagna e maquisard sul monti dell’Alta Savoia, che specularmente, nello stesso 1960, aggirandosi per Roma torna ai cruciali anni Trenta in cui era stato amante della ventenne fotografa prima che divenisse compagna di un altro esule ebreo ungherese, André Friedman, presto celebre con il fantastico nome di Roberta Capa. E in mezzo alla coppia di sopravvissuti a guerre e persecuzioni, nel capitolo centrale del libro, danno corpo ulteriore alla narrazione le memorie di Ruth Cerf, coinquilina di Gerda nella capitale francese nonché collaboratrice del minuscolo laboratorio fotografico da cui germogliò la prestigiosa agenzia Magnum. 

Helena Janeczek

Accanto al racconto polifonico che insegue l’astro della giovane donna coraggiosa e imprendibile, capace di inanellare passioni senza tradirne nessuna, dotata di un fascino e un talento spesi fino all’estremo, scorrono le vite di artisti fotografi come Fred Stein, David Seymour e soprattutto Capa, catturate in quel crocevia di formidabili destini che fu la Parigi di allora. Le esistenze da rifugiati bohemien, le fughe salvifiche e rocambolesche, le impennate di ardore e di genio e la lunga odissea della resistenza europea al nazifascismo - tutti gli entusiasmi, insomma, e i patemi di un’epoca grandiosa e drammatica -, scendono dal pulpito della grande storia e si fanno sostanza tangibile nelle pagine della Janeczek. “Discendenti dello stesso verbo” scrive in una delle ultime, confessando insieme un metodo e un’intuizione, “rinvenire e inventare rammentano che per ritrovare qualsiasi cosa bisogna attingere alla memoria, che è una forma di immaginazione.” In perfetto accordo con queste parole, congeda un romanzo che non si dimentica.        

    (la recensione è stata pubblicata sul quotidiano Il Cittadino del 23/11/2017)     

giovedì 2 novembre 2017

JEAN ECHENOZ - L'OCCUPAZIONE DEL SUOLO - GALAAD EDIZIONI 2017


Per la prima volta tradotto in italiano, questo sorprendente racconto colmo di grazia e ironia, lirico e dai toni quasi surreali, è stato salutato fin dal suo primo apparire, sul finire degli anni Ottanta per le storiche Èdition de minuit, come un insolito capolavoro capace di oscurare con magistrale e sibillino fulgore fiumi di letteratura contemporanea. Lo spunto narrativo è conciso quanto efficace. Un’esorbitante affresco dipinto sul muro di un palazzo parigino in cui appare sorridente dentro quindici metri di abito blu mentre offre un flacone di profumo Piver, Forbil, è tutto quel che rimane di Sylvie Fabre, bruciata con la mobilia e le fotografie che la ritraggono nel rovinoso incendio della sua abitazione. A questa precaria e iridescente immagine pubblicitaria, minacciata dal rinnovamento edilizio nonché offesa dal sottostante degrado urbano, tornano con assiduità il marito e il figlio Paul per onorare e mantenere viva a loro eccentrico modo la memoria della defunta. Una scommessa ostinata, avventurosamente quanto vanamente condotta contro l’inevitabile crescere del piano di occupazione del suolo che cancellerà le preziose vestigia ma non l’acribia dei due superstiti, installati in un nuovissimo monolocale appena sotto gli occhi di Sylvie, “due lampade cieche dietro il muro di destra”, intenti a raschiarne perfino la dura materia pur di aprirsi un’ultima breccia verso la moglie e la madre perduta. 

Jean Echenoz

Apologo esemplare attorno alle geniali invenzioni della nostalgia alle prese con l’irrimediabile, sostenuto da una prosa evocativa e traslucida, punteggiata di arditezze stilistiche, questa manciata di pagine offre un memorabile assaggio delle qualità che ritroveremo nei successivi romanzi del celebre scrittore francese. Un piccolo, smagliante gioiello che ha generato un’infinità di commenti entusiasti, eletto per il continuo riverbero dei sensi nascosti e il misterioso nitore a paradigma del racconto perfetto. Un tassello immancabile nella libreria degli amanti di Jean Echenoz e dell’arte della parola tout court.*

*La recensione è apparsa oggi sul quotidiano Il Cittadino