VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

sabato 13 luglio 2013

TIMUR VERMES - LUI E' TORNATO


Adolf Hitler non è mai morto suicida nel suo bunker. Si è soltanto addormentato, per più di mezzo secolo, e si risveglia in un tranquillo pomeriggio del 30 agosto 2011, a Berlino. Questa la premessa di un romanzo che ha saputo sfruttare fino alle estreme conseguenze il paradosso della vita postuma del Terzo Reich. L’ironia e le battute esilaranti abbondano nel corso di una narrazione che si distingue per prosa limpida e dialoghi nutriti di doppi sensi, in cui le persone che circondano il vecchio e nuovo Führer mostrano un atteggiamento di scherno insieme a un velato sentimento di rispetto. La delirante cocciutaggine del signor Hitler alle prese con un paese percepito come stravolto e decaduto ne fa un buffone che tuttavia riesce a conquistarsi un’istintiva simpatia e un certo seguito, quasi che il suo autoritarismo, benché stralunato e delirante, custodisca in sé un potere magnetico, un misterioso fluido che ne rende la follia appetibile. Comici e giullari, sembra ammonire questa parabola surreale costellata di riferimenti alla contemporaneità, sfuggiti dai palcoscenici ed entrati con dispotica veemenza nella storia, non sono innocui come si potrebbe credere, e proprio il giocare sul crinale dell’ambiguità tra serio e faceto, grasse barzellette e invettive puntuali, li rende temibili strumenti di un potere occulto, che indora il piatto preferito per meglio sedurre la platea. Non si tratta di allargare la censura nei territori della satira, ma di distinguere ambiti e non lasciare che sotto la campana della libertà di pensiero si disinneschi il pericoloso arbitrio, mai inoffensivo, del volgare. Che la forma non sia sostanza è uno dei più disastrosi equivoci della vita sociale, la premessa alla sparizione di ogni ruolo meritato in un’arena dominata da pagliacceschi tribuni della plebe. Questo Hitler che passeggia per Berlino in tenuta militare, senza casa e documenti, rivendicando ad ogni occasione le sue prerogative e la sua vera identità è il mostruoso giullare di un circo che somigliare alla realtà. L’isterico Adolf finisce per diventare la star di un programma comico televisivo, e dopo le prime battagliere intolleranze dei media antagonisti e degli scandalizzati rappresentanti di istituzioni democratiche, viene accettato come un fenomeno che grazie a una caricatura tanto perfetta protegge la società dalle orrende derive che lui stesso incarna. Un’ambiguità, certo, che Timur Vermes lascia aperta, senza delineare una vera e propria fine della storia del Führer redivivo ma fermandosi al punto in cui il comico di perfetta scuola Stanislavskij viene corteggiato da un vasto gruppo di editori e movimenti politici, ghiotti della sua crescente popolarità. Lui è tornato è un romanzo spassoso e intelligente che racconta, in fondo, come la mediocrità doverosamente caricata di lustrini ed echeggiata dai suoi troppi media possa ridurci a servi imbambolati di malefiche illusioni.     

Timur Vermes

giovedì 4 luglio 2013

FRANCESCA CAMINOLI - C'ERANO ANCHE I CANI


Parole schiette, che mirano al concreto del racconto; frasi brevi, limpide, e dialoghi smussati a comporre una prosa dall’equilibrio classico, che ricorda una volta di più come l’originalità e la forza rappresentativa non abbiano a che fare con l’innovazione ricercata o i rovelli della moda letteraria. E a ciò si aggiunga tutta la peculiare sensibilità femminile, che si sente in quella delicatezza temperata da un carattere deciso ma diffusa ovunque, a completare il quadro della scrittrice alla sua quinta opera narrativa. Si tratta qui di sei racconti, pubblicati come tutti i suoi libri dalla Jaca Book, in cui Francesca Caminoli torna agli anni Settanta di un’adolescenza e una gioventù universitaria accompagnate dalle poetiche figure di sei cani, Divo, Baldo, Paco, Ciclone, Grigia, Bella e Pongo, che brillano per simpatia e imprevedibile vivacità, disinnescando a volte i momenti risolutivi dell’azione. Erano anni di rivoluzione dei costumi, passioni ideologiche e infervorate battaglie sociali, che fanno da costante sottofondo alla trama quando i protagonisti sono bambini e bambine che architettano le loro innocue monellerie durante le vacanze in campagna o in quella Milano dove l’autrice ha trascorso da giornalista molti anni, ma che diventano l’assoluto primo piano, specie nei racconti finali della raccolta, quando i bambini sono ormai cresciuti e si ritrovano impegnati nelle manifestazioni studentesche e negli scontri di piazza. Confluiti come per un passaggio naturale nei grandi movimenti che aspirano a una giustizia rivoluzionaria, i giovanissimi emulatori degli hippies si trasformano in compagni di lotta, tra le cui fila non mancano i figli capricciosi della borghesia più agiata. Tutto un mondo, insomma, dall’impegno sacrosanto e dalle reali motivazioni molto più incerte, raccontato con nessuna enfasi, da un punto discreto, veridico, in compagnia degli amabili onesti a quattro zampe, che sanno, almeno loro, essere quello che mostrano e impongono una concretezza umile anche alla più bellicosa specie di idealista. Contribuisce al fascino e alla singolarità di questi sei racconti leggeri ma non troppo la prospettiva in apparenza marginale da cui vengono osservati i convulsi fatti della storia: angoli e spezzoni di vita quotidiana di una ventenne praticante giornalista - quella Maria dall’evidente sostanza autobiografica -, che pur ben salda nei suoi principi conduce una vita tutt’altro che fanatica e si ritrova spettatrice in pieno campo del fanatismo altrui e della spropositata, sanguinaria repressione. Il racconto forse più rappresentativo e complesso, Bella e i morti di aprile, illumina i fatti milanesi occorsi in quel tragico mese del 1975, quando le opposizioni dei diversi fronti tracimarono nelle morti del ventottenne Giannino Zibecchi, travolto in Corso XXII marzo da un camion dei carabinieri, e del diciassettenne Claudio Varalli, ucciso dalla pistola di un militante di Avanguardia Nazionale in piazza Cavour. Maria, testimone oculare del giovane corpo dilaniato di Zibecchi, torna nel suo appartamentino e continua a piangere ballando sulle note di Marvin Gaye, presto raggiunta dalla dolcissima meticcia Bella e dal suo padrone Antonio, che inizia, furtivamente, insieme a certi suoi compagni, a parlare d’armi e di obiettivi da colpire. Lei, la ragazza/autrice, non esiterà a cacciarlo e a tenersi in cambio quell’irresistibile ammasso ispido di pelo beige che sarebbe divenuta per tre anni la sua fedele compagna.

Francesca Caminoli