VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

lunedì 20 febbraio 2012

MICHAEL HERR - DISPACCI




Nel novembre del 1967 Michael Herr giunge in Vietnam come corrispondente di Esquire. In un certo senso è un privilegiato, non ha scadenze fisse per la consegna dei pezzi e ha modo di fare libera incetta di storie, gran parte delle quali confluiranno più tardi in Dispacci, forse la più importante testimonianza su quell'immenso e glorioso disastro dell'esercito statunitense. Taccuino di guerra, diario privato, romanzo autobiografico, meditazione sul destino umano in condizioni estreme. Il libro di Herr sfugge a una precisa categoria e le riassume tutte, sostenuto da una scrittura densa e viscerale che traduce con efficacia folgorante la complessità dell'esperienza in Vietnam. Lo scrittore reporter salta da un elicottero all'altro e si spinge in avamposti remoti condividendo anima e corpo la vita dei marines. Tra i motivi all'origine di questa scelta in apparenza folle c'è una grande e irresponsabile curiosità, uno spirito avventuroso e un anelito alla metamorfosi di sé stesso, ma soprattutto c'è quell'irriflessiva sete di esperienza che solo più tardi potrà essere consapevolmente riordinata siglando una vera e propria iniziazione. Arriverà persino ad avere nostalgia per quei luoghi e quella parte della propria esistenza che è stata vissuta a un grado di intensità mai più raggiungibile, nel bene come nell'orrendo male. Lo sceneggiatore di Apocalypse Now e Full Metal Jacket racconta la terribile battaglia per conquistare la città imperiale di Hue, un tempo incantevole sede dei reali annamiti e trasformata in un plastico devastato e irriconoscibile, la permanenza nella zona degli Altipiani, vallate scoscese ammantate di giungla dove vivono i primitivi Montagnard e intere divisioni di vietcong stringono d'assedio 8000 marines e sudvietnamiti nel campo isolato di Khe Sahn. Nel corso dei briefing concessi alla stampa lo Stato Maggiore dell'esercito manifesta ottimismo e annuncia una supposta fiacchezza del nemico quando invece la guerra, vista più realisticamente dal basso, prende tutto un altro corso. Herr non sta dalla parte del giornalismo convenzionale, dei propagatori acritici e uniformati di notizie. Si mette al fianco di fotografi e reporter mitici quali Sean Flynn o Tim Page, di cui ci regala memorabili ritratti. Restando in prima linea attinge storie dalle bocche riarse dei soldati e fissa i loro occhi invecchiati dentro volti poco più che adolescenti. Gli bastano poche parole fulminanti per recuperare attimi dal sapore mistico, in cui la guerra può misteriosamente lasciarti uno spazio tutto tuo. "Trovarlo era come ascoltare della musica esoterica, non riuscivi a coglierne l'essenza attraverso tutte le ripetizioni finché il tuo stesso respiro non ci era penetrato diventando un altro strumento, e ormai non era più soltanto della musica, era esperienza."   

Michael Herr

L'avvio del capolavoro di Michael Herr: 

venerdì 17 febbraio 2012

ILAN PAPPE - STORIA DELLA PALESTINA MODERNA


Se dal 1918 in poi sono pochi i libri che raccontano in modo unitario la storia del popolo palestinese e di quello ebraico, dopo la seconda guerra mondiale diventano una vera rarità. Ilan Pappe, professore di Scienze politiche presso l'Università di Haifa e parte di un gruppo di studiosi israeliani che rileggono in chiave non sionista la storia di quella regione martoriata, intreccia in un unico testo le due narrazioni cercando di tenersi a debita distanza da ideologie, demagogie politiche e razzismi. Il suo punto di vista privilegiato rimane quello della gente comune, delle vittime, siano esse indigeni palestinesi, ebrei immigrati o autoctoni, che hanno subito o si sono fatti coinvolgere dalla violenza delle rispettive elite nazionalistiche. Il testo prende avvio dalla breve invasione napoleonica del 1799, data convenzionalmente indicata come l'inizio della storia della Palestina moderna a partire dalla quale, secondo la versione eurocentrica più diffusa, il progresso dell'Europa illuministica avrebbe fatto irruzione nel contesto tradizionale della primitività araba. Seguendo con dovizia di documentazione il lungo arco declinante del tardo Impero ottomano che vede la Palestina divisa nelle unità amministrative del sangiaccato, Pappe racconta il graduale impoverimento della società rurale e contadina a vantaggio dei gruppi di notabili urbani sempre più influenti, accanto alle potenze occidentali e al movimento sionista, nel decidere le sorti dell'area palestinese. L'immigrazione ebraica, che subisce una grande accelerazione a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, manifesta una capacità organizzativa e di coesione nettamente superiore a quella della comunità araba musulmana attraversata da molteplici conflitti interni. Dai 20.000 ebrei presenti in Palestina alla vigilia della guerra di Crimea si passerà nel 1918 a 60.000, numero destinato a crescere in modo esponenziale nel corso degli anni a venire con l'immigrazione legale e illegale di coloni in fuga dall'olocausto. Il passaggio di governo dall'Impero ottomano al Mandato britannico offrirà alla classe dirigente ebraica l'opportunità di trovare un nuovo potente alleato all'ombra del quale consoliderà la sua struttura prestatale e alimenterà con vigore lo spirito nazionalista. 

disegno della Palestina moderna

In una rete complessa di alleanze, conflitti e giochi di interessi che trasformano l'area mediorientale in un'instabile e multietnica polveriera, la positiva influenza britannica in materia di istruzione, sanità, trasporti e comunicazioni, andrà progressivamente scemando con l'indebolimento del Commonwealth. L'atto finale della decolonizzazione aprirà le porte al conflitto armato tra il dicembre del '47 e il maggio del '48. Proclamato lo Stato di Israele e rimasta lettera morta la risoluzione ONU che prevedeva la partizione della Palestina tra uno Stato ebraico e uno Stato arabo, l'esercito israeliano procede all'occupazione e alla pulizia etnica inaugurando la tragedia di milioni di rifugiati sparsi dentro e fuori i confini statali. La storia che ne segue è quella più recente del nazionalismo palestinese e delle organizzazioni armate che dotate di forza impari accanto ai vicini israeliani e appoggiate da governi rivoluzionari sono ricorse ad azioni di guerriglia o disastrosamente terroristiche. E' significativo come nell'ambito dei vari tentativi di soluzione del conflitto il ritornello del gergo diplomatico sia diventatto quello del "processo di pace" e si siano acccortamente elusi termini quali "decolonizzazione" e "fine dell'occupazione". Ed è un peccato che episodi di solidarietà di classe e cooperazione binazionale tra popolo ebraico e palestinese puntalmente ricordati da Ilan Pappe come gesti esemplari di una possibile armonia siano stati soverchiati dalle sobillanti retoriche nazionalistiche che fanno leva da una parte sulla paura degli assediati e dall'altra sulla disperazione degli oppressi.  


 Ilan Pappe
                   

giovedì 2 febbraio 2012

RODDY DOYLE - PAULA SPENSER


Periferia di Dublino, quartieri popolari, gente qualunque, quella di cui si sente parlare solo se ammazza qualcuno o viene ammazzata. Il marito di Paula, Charlo, più di dieci anni prima è assurto a entrambi gli onori della cronaca. Nel corso di una rapina ha preso in ostaggio una donna, le ha sparato ed è stato a sua volta atterrato da un proiettile della polizia. Ha lasciato la moglie, che picchiava regolarmente, sola, con quattro figli e impelagata nell’alcolismo. Quando l’occhio di Roddy Doyle la sorprende e ne segue passo passo la vita, Paula si sta ripulendo. E’ un anno che non tocca una bottiglia piena, anche se quelle vuote le fanno l’effetto di un’esca irresistibile. Le annusa alla ricerca degli ultimi effluvi, prova a inumidirsi le labbra con una goccia che scivola lungo le pareti vetrose. L’astinenza si fa sentire in momenti impensati, senza appuntamenti, indifferente agli umori. Può succedere per noia, per rinnegare o amplificare un dolore, ma anche per un apparente capriccio, un peccato di gola che prende una punta ossessiva. Quello di chi smette di bere “è un altro mondo. Non è sicura che le piaccia poi tanto. Ma è una donna nuova, una vecchia che sta imparando a vivere.” Nella mente e nel corpo di questa vecchia quarantottenne Doyle si incarna con perfetta mimesi. Ne registra i pensieri e segue le mosse di una quotidianità grigia e coraggiosa, di chi faticosamente risale la china facendosi protagonista di un eroico anonimato. Paula vive con due figli: Leanne, ventiduenne scontrosa e anche lei alcolizzata con cui lotta quasi ogni giorno combattuta tra rabbia e sensi di colpa, e Jack, adolescente timido e diligente che si mantiene gli studi servendo da bere al pub del quartiere. Poi ci sono Nicola, la figlia maggiore, madre responsabile ed equilibrata, e John Paul, il figlio scomparso per nove anni, ex tossicodipendente riapparso all’improvviso con una moglie, due figli, e una vita scandita da normali abitudini. Con ognuno di loro l’eroina del suburbio dublinese cerca di ricucire un rapporto sfibrato da anni di incuria in cui la madre sfortunata e cattiva si trascinava da una stanza all’altra tramortita dal vizio e dolorante per i segni lasciati dalle botte di Charlo. Il romanzo procede senza altisonanti colpi di scena e lo sforzo del narratore si concentra sui minimi traguardi di Paula che assumono proporzioni straordinarie. La prima minestra preparata con cura che diffonde negli ambienti domestici un profumo di cibo quasi scomparso dalla memoria; l’apertura del primo conto in banca alle soglie dei cinquant’anni; i risparmi per il computer del figlio o per uno stereo decente da mettere in cucina. Paula si batte per queste cose. Lavora cinque giorni la settimana per un’impresa di pulizie. In un pulmino pieno di africane va a raccogliere cartestracce e lattine di birra vuote nella platea erbosa di un concerto rock lavorando a braccetto con le immigrate. Tutto ciò che di buono viene dalla vita è un regalo per una reduce come Paula. E’ perfino orgogliosa della stupida targhetta con scritto “personale autorizzato”. Quel che sorprende e rende autentica la scrittura di Roddy Doyle è la distanza da qualsiasi retorica del tragico o del pietoso. Siamo nella dura, piena e carnale Irlanda del popolo e del disagio sociale. Tra voglia di bere e braccia rotte all’ospedale, mezzi pubblici dove Paula resta seduta “circondata da fiumi di gin e di Guinness” e carrelli di supermercato riempiti con il contagocce. E dove ormai “sono tutti alcolizzati. Chi è pallido e chi è troppo rosso, chi zoppica, chi si trascura e chi si cura troppo.” Sullo sfondo Il Grande Fratello, l’universo di Internet, le cronache del pianeta in guerra snocciolate da una radiolina gracchiante accanto ai fornelli.   

lo scrittore irlandese Roddy Doyle