Minuscoli insediamenti sparsi nelle immense terre ghiacciate, una manciata di igloo in cui vivono uomini primitivi e giocosi che dietro le prime diffidenze nascondono “l’ampio sorriso e l’animo aperto, docile”: un popolo, quello degli eschimesi, cui Knud Rasmussen si avvicinò nei primi decenni del Novecento, quando il contatto con l’uomo bianco non ne aveva ancora sovvertito la cultura. Il grande esploratore polare nacque in un villaggio della Groenlandia nel 1879. Figlio del pastore locale e della figlia del responsabile della colonia, prima di essere mandato a studiare in Danimarca apprese le arti e la lingua locali, coltivando fin da piccolo il sogno delle grandi avventure sulle mitiche slitte trainate da cani. Le esplorazioni vere e proprie iniziarono nel 1912 con una serie di viaggi indicati come Spedizioni Thule, dal nome della stazione commerciale fondata insieme a un amico. Il resoconto della V Spedizione, la più lunga e impegnativa, durata dal 1921 al 1924, diede origine a migliaia di pagine di appunti e resoconti scientifici, la cui versione sintetica e divulgativa, edita nel 1932 un anno prima della prematura scomparsa dell’esploratore, venne tradotta con successo in diverse lingue e soltanto ora, dopo circa ottant’anni, in italiano. Rasmussen coprì un tragitto di 18.000 chilometri, dalla Groenlandia fino all’estrema punta orientale dell’Unione Sovietica, passando attraverso l’estremo nord del Canada e dell’Alaska, accompagnato da un piccolo gruppo di assistenti scientifici: cartografi, naturalisti, etnografi e archeologi. Al termine dell’impresa riportò in Danimarca 20.000 oggetti affidati alla Raccolta Etnografica del Nationalmuseet di Copenaghen, utensili d’uso comune, vestiti, feticci, amuleti e una quantità di svariati reperti che accanto alle esperienze trascritte costituiscono strumenti preziosi per avvicinare un popolo dalle consuetudini talora cruente che si associano a un’ingenua e sfrenata ilarità. Rasmussen fotografa quadri di vita e annota leggende, storie tramandate da secoli, senza accusare con moralistica indignazione neppure la pratica di sopprimere le neonate figlie femmine che graverebbero inutilmente sull’economia familiare o l’abitudine di sterminare con una certa leggerezza i rivali amorosi. Benché ancorati a logiche in apparenza selvagge, indissociabili dall’asprezza dei contesti in cui vivono, gli eschimesi con cui comunica in lingua madre il viaggiatore danese dimostrano raffinate abilità pratiche, un ricco sistema di credenze e una dimensione spirituale fondata in primo luogo sui saperi e sui poteri degli sciamani. Intermediari tra il mondo degli uomini e quello degli spiriti, questi custodi di segreti soprannaturali sono gli autentici regolatori degli squilibri sociali e naturali. Dopo aver dialogato, durante i loro viaggi estatici, con le entità invisibili, comandano i sacrifici adatti a placare le tempeste, a propiziarsi una caccia fruttuosa o a guarire malattie causate da colpe inconfessate di alcuni membri della comunità. Le diverse abitudini delle comunità costiere e di quelle stanziate nei territori interni hanno spesso origine nei diversi tipi di prede che assicurano il sostentamento. Minuziosi e segnati da un autentico talento narrativo sono i racconti della caccia alla renna, al tricheco, al salmone e alla foca attraverso i fori di respirazione aperti nella coltre di ghiaccio: esercizi di astuzia e mirabile pazienza che possono protrarsi un’intera giornata a temperature che scendono decine di gradi sotto lo zero. Non meno sorprendenti si mostrano allo sguardo vergine di Rasmussen la perizia costruttiva degli eschimesi nel realizzare accampamenti di igloo o la loro spiccata propensione al canto che si traduce in feste notturne con accompagnamento di tamburi, ritmi e grida che ricordano imprese memorabili, evocano il mondo dei trapassati o gettano mistici ponti verso un pantheon di insaziabili spiriti.
Knud Rasmussen in compagnia di un eschimese
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