VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

venerdì 9 settembre 2011

WILLIAM DALRYMPLE, NOVE VITE


Nato nel 1965 in Scozia e residente da molti anni in una fattoria nei pressi di Nuova Delhi, William Dalrymple è uno storico formatosi a Cambridge e uno scrittore capace di trasformare le sue esperienze di viaggio in seducenti narrazioni. In questo ultimo libro offre un largo panorama delle differenti forme di spiritualità e misticismo dell’India contemporanea raccontate attraverso le testimonianze di nove personaggi. Sono uomini e donne comuni e straordinari, le cui voci vivacizzano un racconto ricco di informazioni su costumi e tradizioni millenarie. La ricerca storica si scioglie in reportage di spiccata qualità narrativa, attenti tanto ai casi umani quanto al loro contesto storico e sociale. Le scelte che hanno portato questi cercatori di assoluto a intraprendere un cammino di rinuncia agli allettamenti mondani sono state spesso dolorose, comportando traumatiche fratture con i nuclei familiari di origine. E’ il caso della monaca Prasannamati Mataji, che a tredici anni, dopo l’incontro con il guru Dayasagar Maharaj, si consacra a una vita ascetica ubbidiente ai principi del jainismo, una delle religioni più antiche ed esigenti del pianeta. La cerimonia di iniziazione prevede l’eradicazione manuale dei capelli e l’intera esistenza monacale è segnata dal meticoloso impegno a non ledere neppure la più piccola manifestazione di vita. La sallekhana, progressiva rinuncia all’alimentazione fino alla cancellazione di tutto il karma negativo, è l’atto finale di un percorso che vede la morte come un motivo di entusiasmo, l’abbandono di ogni desiderio per accedere a un nuovo universo di pura realizzazione. Dalrymple leva la crosta sensazionale di un’esperienza così estrema, avvicinandola con le semplici parole di Mataji, che pur nell’anelito alla trascendenza rimane piena di umana compassione e partecipazione alle sofferenze proprie e altrui. Gli scenari del tantrismo, pratica esoterica dell’induismo e del buddhismo che travalicando i divieti dell’ortodossia mira a un contatto diretto con il divino, si aprono nel crematorio di Taraphit, dove alloggia la dea Tara affamata di sangue e ossa. Tra pire funerarie e resti di cadaveri carbonizzati i sadhu tantrici del Bengala costruiscono capanne circondate da file di teschi ad uso rituale: una sacralità trasgressiva, ai limiti della ragione, incarnata da Manisha Ma e dal suo compagno Tapan Sadhu. A dispetto delle lugubri apparenze, il luogo riserva al viaggiatore una piacevole accoglienza e gli incontri con i folli mistici osteggiati dal partito comunista locale e dai più bigotti custodi del formalismo devozionale introducono a una religiosità fervente, ispirata all’amore universale. Tra i più eretici rappresentanti della mistica indiana si annoverano anche gli itineranti menestrelli Baul, intercettati al grande raduno annuale di Kenduli, nel Bengala occidentale, dove il cantore cieco Kanai racconta la sua vita punteggiata di sventure e di coraggio ascetico fino al totale abbandono a una spiritualità che schernisce l’ipocrisia dei brahmani e dei potenti, rifiuta l’ingiustizia delle caste e professa un nomadismo ebbro della suprema beatitudine del vuoto. I Baul, oltre a credere che la verità abita solo nel cuore dell’uomo, sono i depositari di una pratica sessuale tantrica insegnata dai guru ed esercitata esclusivamente con la propria compagna. Il libro dello scrittore pronipote di Virginia Woolf spazia dalla storia del monaco tibetano Tashi Passang, che rinunciò ai voti per combattere i cinesi, al ritratto del creatore di idoli Srikana, scultore ed erede di una tradizione del Tamil Nadu antica di settecento anni, e ancora, girovagando nel subcontinente, dal triste caso della prostituta sacra Rani Bai alle danze del posseduto Hari Das, nel Kerala fertile e conservatore, e alle recite di Mohan Bhopa, uno degli ultimi cantori depositari di un grande poema epico medievale del Rajastan. Ogni vicenda dischiude una cospicua rassegna di usanze, fedi e contesti naturali di un’India indissolubilmente antica e contemporanea. La sola avventura che ne eccede i confini è quella tra sufi del Sindh, il deserto del Pakistan meridionale, in cui sono venerati santi celebri come Shah Abdul Latif e Lal Shahbaz Qalander. La storia della devota Lal Peri, l’estatica fata rossa nata in un piccolo villaggio del Bihar e sfuggita a molte persecuzioni prima di approdare alla pace del santuario pakistano, è inserita in un reportage che si può leggere come un sintetico trattato sul sufismo, corrente liberale e mistica dell’Islam che ha vita sempre più difficile in un Pakistan invaso da scuole coraniche politicizzate, improntate a una forma di rigido puritanesimo e finanziate dai sauditi, specie dopo la guerra in Afghanistan. Il 4 marzo 2009, una settimana prima dell’arrivo di Dalrymple a Sehwan, un gruppo di talebani pakistani piazza della dinamite nel santuario del santo sufi Rahman Baba, dove anche le donne potevano pregare, distruggendo completamente la stanza sepolcrale.

William Dalrymple

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