All'inizio di questo romanzo costruito sulla scia di una precisa rievocazione autobiografica siamo immersi nell'infanzia di Alì, un bambino iraniano che vive con i genitori, le due sorelle e il fratello maggiore in una modesta abitazione non lontana dal centro di Teheran, all'epoca in cui regnava lo Scià Reza Pahlavi. E' un bambino timido, vittima dei dispetti dei più grandi e ingiustamente redarguito da una madre tanto generosa quanto severa. Attraverso i suoi occhi entriamo in un mondo infantile segnato dalle prime meravigliose scoperte, dalle tradizioni e dalle cerimonie di un Islam moderato i cui precetti vengono immancabilmente osservati in famiglia. Per il Noruz, la festa di Capodanno, si fanno germogliare il grano e i ceci e si accendono le candele rituali sulla tavola imbandita; ai più giovani viene trasmessa la buona abitudine dell'elemosina quotidiana e i versetti del Corano o quelli dei poeti illuminati vengono in aiuto nei momenti di decisioni delicate. La vita sociale al di là della stretta cerchia dei parenti si fa largo per la prima volta durante una visita alla città santa di Qom. I posti di blocco, le indagini dei militari e una miseria "più cupa e più estrema" di quella che aveva già visto nel villaggio del padre sono le avvisaglie di un contesto che prende spazio in modo sempre più preoccupante. Il romanzo del quarantenne esordiente Hamid Ziarati, che risiede a Torino e scrive in italiano, aggiunge gradualmente al racconto dell'infanzia quello degli venti drammatici che da molto tempo affliggono il popolo iraniano. E la bravura dello scrittore è proprio quella di unire i due piani narrativi, trasformando le pagine in una cronaca privata e insieme collettiva. A scuola si sentono spari e detonazioni. Le classi vengono evacuate e dal condominio di fronte viene stanato un gruppo di terroristi. Il fratello di Alì, Puyan, è un fotografo semiprofessionista e un accanito divoratore di libri. Un giorno, nel corso di una riunione universitaria di giovani contestatori di Reza Palhavi, gli uomini del Savak, i servizi segreti dello Scià, arrestano tutti i presenti e prima di essere liberato Puyan passa tre mesi in carcere, dove viene pesantemente torturato. Si moltiplicano le manifestazioni per la crisi economica, la disoccupazione dilagante e l'inflazione incontrollata. La sorella Parì è il primo membro della famiglia che decide di emigrare e ottiene il visto per gli Stati Uniti. Intanto si fa sentire con forza la voce dell'ayatollah Khomeini, costretto da quindici anni all'esilio nella città iraquena di Najaf. I focolai di ribellione, nel nome dell'ayatollah e di un Iran libero dalla monarchia, sfociano nella rivoluzione khomeinista e in continui bagni di sangue. Puyan, il fotografo torturato dai servizi segreti, vince un concorso internazionale ed è invitato a Londra. Il giorno prima di partire assiste al massacro di piazza Djaleh, dove centinaia di dimostranti e futuri martiri della rivoluzione vengono massacrati. Avventurosamente riesce a fare alcuni scatti che venduti in Inghilterra avvieranno la sua carriera professionale di reporter. Ma le storie individuali sono come travolte da una catena di eventi che fanno precipitare verso un baratro ancora più scuro il volto della storia iraniana. Lo Scià fugge all'estero. Khomeini rientra in patria e prende il potere. Nonostante le promesse altisonanti di un paese libero, la nuova Repubblica Islamica instaurerà un clima di feroci repressioni e di terrore. Le donne vengono private dei diritti fondamentali. L'Ambasciata degli Stati Uniti è assaltata e il personale americano preso in ostaggio. Il conseguente embargo aggraverà utleriormente l'isolamento politico e le condizioni di vita della popolazione. Tra roghi di libri satanici e i bombardamenti dell'aviazione di Saddam Hussein, la narrazione si arresta al culmine di un parossismo tragico davanti al quale il ragazzino Alì sogna un aereo che lo porti via.
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