Esili
tracce di memoria, appunti di taccuino, a volte solo un nome, un indirizzo, una
data. E strade: una costellazione di luoghi e percorsi parigini che Modiano,
premio Nobel per la letteratura 2014, rivisita a decenni di distanza, reimmagina
e ricrea in un’opera senza una precisa trama. Un romanzo breve, Ricordi dormienti, o piuttosto una
rapsodia, la rêverie nostalgica di un autore settantenne che ha sempre posto la
memoria al centro della sua ricerca letteraria e continua qui a farlo in una
sorta di abbandono erratico. Da queste pagine chiare e delicate, di un
impressionismo che slitta con grande nonchalance da uno sguardo all’altro, da
un volto e un destino all’altro, emergono frammenti di racconti potenziali il
cui seguito possiamo fantasticare, istantanee di un’epoca, fantasmi, “numerosi
quanto le stazioni del metro”, ondeggianti sullo sfondo di una Parigi perduta.
Il giovane Modiano si ritrova nella Ville Lumiere per un breve congedo dal
collegio dove studia, in Alta Savoia, e incontra Mireille Uruzov, di cui
rammenta pochi tratti e lunghe camminate nei quartieri a ovest, e sulla scia di
questa giunge fino alla sua vecchia camera dove sono conservati i libri del
tempo, volumi della collana per ragazzi la
Bibliothèque Verte: Il cargo del
mistero, Il visconte di Bragelonne…
E nel flusso dei ricordi appare anche l’evanescente figlia di Stioppa, un amico
del padre associato a una lista di nomi russi, “grossi trafficanti del mercato
nero all’epoca dell’occupazione tedesca”; quindi Geneviève Dalame, incontrata
in uno di quei caffè che ha l’abitudine di frequentare molto presto, all’apertura:
una donna che abitava in camera d’albergo, come si usava fino agli anni
Sessanta.
Patrick Modiano
Poco oltre è il turno di un’amica di Geneviève, Madeleine Péraud, ulteriore
perla in un florilegio di molte figure femminili, esperta di scienze occulte,
grazie alla quale viene a conoscenza un libro singolare, Incontri con uomini straordinari, di Georges Ivanovic Gurdjieff,
nome che risuona sorprendente e misterioso alle sue orecchie di studente
“immerso in una certa solitudine e un certo sgomento”, che non aveva mai
cercato di incontrare i quattro o cinque maitre a penser che dominavano le
cattedre universitarie. Verso la fine di questo rabdomantico viaggio nel
passato giungiamo alla fatidica notte del 28 giugno 1965, quando l’intrepido
flaneur si trova di fronte al cadavere di un uomo ucciso per errore da un’amica
mentre maneggia una pistola. Circostanza ambigua che dà il via a un profilo di
trama poliziesco, una fuga ansiosa per le strade accanto all’omicida, il riparo
in un albergo e il lento oblio di tutta la vicenda che riaffiorerà solo a
cinquant’anni di distanza. Scarse ombre, come al solito, una filigrana
pressoché impalpabile di fatti davanti ai quali Patrick Modiano si arresta,
lasciando lavorare, prima di tutto nel lettore, un libro bianco di infinite
congetture.
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