C’è l’Africa
“profonda”, quella del «sangue povero» di
cui «non frega niente a nessuno, fino a
quando non diventa un’ecatombe, un
cimitero di dolore su cui sbandierare
troppo tardi la bandiera bianca dei diritti umani», e c’è l’Italia, quella impersonale e metropolitana di Milano ma anche quella “lenta” e “domestica” delle Marche
con gli affetti, i dolori, i ricordi
familiari che si porta dietro. Due
continenti, due luoghi del mondo e del cuore,
nei quali si divide ormai da anni la vita
di Vincenzo Maria Oreggia e nei quali
l’autore ambienta
il suo ultimo libro: un viaggio fra
il Senegal e la Guinea cui fa da contraltare
il “viaggio” nella vita di tutti i
giorni, con l’affettuosa e dolorosa cura di
una madre la cui memoria
progressivamente si sgretola, cancellando passato e
lacerti di presente in un’inarrestabile
decadenza. È un libro che non
lascia indifferenti, questo Pesce
d’aprile a Conakry, e lo è, oltre che per il bell’affresco
africano offerto, anche per l’originalità dell’impianto, nel quale i due piani,
da una parte il viaggio alla scoperta delle
montagne incontaminate del Fouta Djallon in
compagnia di solerti amici
africani, e dall'altra le cure e le premure rivolte
alla mamma malata si guardano, ora vivendo
due “vite” parallele, ora incrociandosi e
intrecciandosi. Felice anche l’intuizione
di mettere una sorta di distanza fra io
narrante e protagonista attraverso l’uso
alternato della prima e della terza
persona, con il Vincenzo che diventa “monsieur
Vincent” e la madre chiamata “donna
Elena”.
(Marco Ostoni, Il Cittadino)
V.M.Oreggia, Pesce d'aprile a Conakry, Edizioni dell'Arco 2010
disponibile anche all'indirizzo
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