Basterebbe il racconto di apertura che titola la
raccolta per dare una misura del narratore e poeta di Nottingham, annoverato nonostante il suo rifiuto di ogni etichetta tra i più significativi esponenti degli
Angry Young Men anni Sessanta. Figlio
della working class, reduce di guerra, Sillitoe dà vita a personaggi che si
stagliano crudi e veri come in un film di Ken Loach. Primo fra tutti il detenuto
nel riformatorio dell’Essex, che si allena lungo i sentieri ghiacciati del
circondario in vista di una gara di maratona con atleti di altre carceri. Nel
suo monologo, un gioiello ormai classico dove le parole assumono il ritmo
trascinante della corsa, il giovane Smith medita sulle circostanze che lo hanno
condotto a delinquere, scegliendo infine di perdere la competizione, lui che
potrebbe primeggiare, pur di vendicare i molti torti subiti. Il riscatto, per le vittime
che sfilano in queste pagine, sembra possibile solo attraverso intimi o
plateali atti di insubordinazione. Forme di ribellione che traducono il
malcontento e il disagio di un’intera classe sociale, destinate a tradursi in
sconfitte sopportate con orgoglio e un senso di inesausta resistenza. Così
accade, spigolando tra i tanti memorabili esempi, a Zio Ernest, modesto e disilluso tappezziere che ritrova il calore della
speranza facendo piccoli regali a due sorelline affamate, finendo poi
minacciato dalla polizia alla stregua di un pervertito. O all’operaio
Scaferdale, angariato dalla moglie crudele e rimbalzato nelle braccia di
una madre anche peggiore, che scioglierà le sue frustrazioni in segrete uscite
notturne, molestando giovani passanti.
Alan Sillitoe
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