Viaggio
nel cratere è
un libro di sguardi inebrianti e amare conclusioni, desolante reportage tra i
paesi sonnolenti dell’Irpinia e diario di passione civile che rintraccia nel
microcosmo provinciale i segni e i mali del degrado planetario. Lo scivolare da
una cosa all’altra, il mescolare a una minima cronaca interiore la cronaca del
mutamento storico di un mondo è ciò che più colpisce nella scrittura di Franco
Arminio. Scrittura piana, come un dimesso ruminio di chi si limita a descrivere
senza tradire ciò che vede, ma che ogni tanto, all’improvviso, è punto da un
rigurgito, una vena ansiosa di poesia, versi sparpagliati nella prosa, un’accensione
idilliaca o un pianto triste sulla pochezza delle cose umane. Arminio procede tra
le rovine di un paesaggio devastato e splendido, sotto un cielo il cui nitore è
ferito da un’aria vuota di futuro. I moltissimi paesi in cui passeggia lo
scrutatore solitario sono oasi raggiunte dal deserto, case spopolate da
decennali emigrazioni, un tessuto di cemento e pietre dove sopravvivono
fantasmi, ricordi di altro tempo, altre genti, e abitatori che riciclano la
noia in un tirare innanzi quotidiano, ritratti di un documentario senza
consolazione. Il piano di ricostruzione seguito al terremoto del 1980 ha
convogliato verso i piccoli centri irpini centinaia di miliardi male impiegati,
con il solito proliferare di cattive abitazioni; ha innescato una
corsa all’accaparramento di fondi che se da un lato ha rimpinguato imprese
edili poi scoppiate come palloncini al vento, dall’altro ha contribuito allo
sfaldamento della solidarietà sociale, creando le condizioni di un benessere inscindibile
dalla sua maledizione di solitudine. Ciò che nelle metropoli è dissimulato dal
frastuono e dalle luci fatue del consumo universale, in un piccolo paese emerge
nitido su una cartina tornasole. Il paese è un campione, un assaggio esemplare
della rassegnata deriva contemporanea. “Tutto ciò che vuole essere avventato,
audace, è confinato negli spazi della fiction. Nella vita reale la piccola
borghesia che infesta il pianeta è avvinta da un’esistenza di divagazioni
metafisiche e senza avventure”. Sorprende, nelle pagine che vanno sotto il
titolo di “Postille di paesologia”, l’accostamento della politica alla natura
dialettale, della logica retriva che abitava le piccole comunità a quella che
pretende ora di abitare il mondo. “Cos’è la politica nazionale e internazionale
se non un trasferimento su scala internazionale delle beghe di paese? La politica ormai ha una sua natura intimamente
dialettale, perciò non si possono capire il dialetto islamico e quello
occidentale, un po’ come il dialetto irpino e quello veneto. Il dialetto si
estingue su scala locale, ma si trasferisce su scala internazionale”. Il solo
ottimismo cui lascia spazio l’indagine di Armnio sembra essere quello dell’intelligenza
delle cose, di per sé un valore inestimabile, una riuscita personale anche di
fronte a un ubiquo fallimento.
Franco Arminio
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