E’
raro imbattersi in un quadro più attendibile e inquietante della Russia
postsovietica. Quello di un potere centrale che tiene a fatica le briglie di
ottantanove regioni attraversate in gran parte da movimenti indipendentisti
combattenti. Un mondo di guerriglieri, mercenari, capibanda, fondamentalisti,
armate regolari, servizi segreti, trafficanti e un coacervo di etnie
spaventoso. In mezzo vi scorrazza Eduard Limonov, fondatore e presidente del
Partito nazionalbolscevico, una formazione sorta nel ‘93 che raccoglie
malcontento e naziskin, frange estreme di destra e di sinistra in un iconoclasta
credo post-ideologico. Amante del mitra e della penna, questo provocatore
mediatico che ostenta machismo e pedofilia ha ormai al suo attivo una
quindicina di libri, racconti e romanzi nei quali il protagonista è ogni volta
lui stesso. Un processo di instancabile autofiction in cui il suo narcisismo
ipertrofico si espande con una scrittura colma di aneddoti e incurante di moine
stilistiche. Una specie di fluviale reportage a puntate in cui lo scrittore
guerriero racconta una vita che avventurosa è dire poco. Per il suo ultimo
libro, scritto nel 2002 nel carcere di Lefortovo dove sconta una pena per
sospetta attività terroristica e traffico d’armi, Limonov inventa una struttura
che permette di entrare e uscire dal racconto liberamente, aprendo, se si vuole,
le pagine a caso. Episodi che coprono circa un trentennio di vita, dagli anni
‘60 ai ’90, sono associati a mari, fiumi, laghi, stagni e qualsiasi bacino
idrico capace di sollecitare un ricordo significativo. L’ordine cronologico e
quello dei luoghi è sovvertito come in un mosaico che il lettore ricompone a
piacimento viaggiando tra gli Stati Uniti e la Francia , l’Italia, i
Balcani, l’Inghilterra e il caleidoscopico affresco delle Repubbliche della ex
Unione Sovietica. Capita di sorprendere l’autore a New York mentre lavora come
maggiordomo in casa di un milionario americano dove consuma esagitate storie di
letto tra una piccola e culona pianista russa, una star tettona del cinema
polacco e la sua ex moglie. Le donne, come la guerra e i pericoli, sono onnipresenti
e potrebbero essere accanto all’acqua l’altra chiave d’accesso ai ricordi. Le
gesta amatorie del libertino scrittore tanto dongiovanni quanto cornuto
compongono un elenco di sconcertante ricchezza. La relazione con la sedicenne
Naskja che porta a spasso per Mosca fingendo di esserne il padre è la punta più
scandalosa di questa abbuffata di sesso sregolato. Ma in Limonov tutto è
scandalo e provocazione. L’anarchismo ribelle di questo cultore del rischio
giunge fino agli avamposti remoti della Siberia e dell Tagikistan, dove è
scortato dai suoi fanatici nazionalbolscevichi e incalzato dai servizi segreti.
Prende accordi con signori della guerra locali, intesse doppie relazioni con
colonnelli d’armata inviati dalla capitale per sedare le rivolte, rilascia
tumultuose interviste, inscena eventi promozionali di un partito che cerca
adepti tra gli insoddisfatti di ogni origine e risma. Ma sa anche rievocare con
delicatezza le innumerevoli passeggiate lungo la Senna , accanto alla quale ha
vissuto ben quattordici anni, i pomeriggi di sole cittadino tra parigine in
topless, arabi guardoni dai ponti e una piccola folla di artisti che frequenta
in compagnia della moglie Natasa. Gli arresti a raffica che si abbattono su
amici e membri del Partito nazionalbolscevico, all’ombra di granate e
kalashnikov, convivono con descrizioni idilliache della natura selvaggia delle
plaghe russe dove si mischiano “l’odore della carne e del grasso di montone,
del pane al forno, del sudore dei soldati, dell’olio delle macchine e delle
armi e un intenso profumo di fiori”. Un carnevale ubriacante di bellezza
barbara e assolutamente
attuale.
Eduard Limonov
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