VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

martedì 21 maggio 2013

FRANCO ARMINIO - VIAGGIO NEL CRATERE



Viaggio nel cratere è un libro di sguardi inebrianti e amare conclusioni, desolante reportage tra i paesi sonnolenti dell’Irpinia e diario di passione civile che rintraccia nel microcosmo provinciale i segni e i mali del degrado planetario. Lo scivolare da una cosa all’altra, il mescolare a una minima cronaca interiore la cronaca del mutamento storico di un mondo è ciò che più colpisce nella scrittura di Franco Arminio. Scrittura piana, come un dimesso ruminio di chi si limita a descrivere senza tradire ciò che vede, ma che ogni tanto, all’improvviso, è punto da un rigurgito, una vena ansiosa di poesia, versi sparpagliati nella prosa, un’accensione idilliaca o un pianto triste sulla pochezza delle cose umane. Arminio procede tra le rovine di un paesaggio devastato e splendido, sotto un cielo il cui nitore è ferito da un’aria vuota di futuro. I moltissimi paesi in cui passeggia lo scrutatore solitario sono oasi raggiunte dal deserto, case spopolate da decennali emigrazioni, un tessuto di cemento e pietre dove sopravvivono fantasmi, ricordi di altro tempo, altre genti, e abitatori che riciclano la noia in un tirare innanzi quotidiano, ritratti di un documentario senza consolazione. Il piano di ricostruzione seguito al terremoto del 1980 ha convogliato verso i piccoli centri irpini centinaia di miliardi male impiegati, con il solito proliferare di cattive abitazioni; ha innescato una corsa all’accaparramento di fondi che se da un lato ha rimpinguato imprese edili poi scoppiate come palloncini al vento, dall’altro ha contribuito allo sfaldamento della solidarietà sociale, creando le condizioni di un benessere inscindibile dalla sua maledizione di solitudine. Ciò che nelle metropoli è dissimulato dal frastuono e dalle luci fatue del consumo universale, in un piccolo paese emerge nitido su una cartina tornasole. Il paese è un campione, un assaggio esemplare della rassegnata deriva contemporanea. “Tutto ciò che vuole essere avventato, audace, è confinato negli spazi della fiction. Nella vita reale la piccola borghesia che infesta il pianeta è avvinta da un’esistenza di divagazioni metafisiche e senza avventure”. Sorprende, nelle pagine che vanno sotto il titolo di “Postille di paesologia”, l’accostamento della politica alla natura dialettale, della logica retriva che abitava le piccole comunità a quella che pretende ora di abitare il mondo. “Cos’è la politica nazionale e internazionale se non un trasferimento su scala internazionale delle beghe di paese? La politica ormai ha una sua natura intimamente dialettale, perciò non si possono capire il dialetto islamico e quello occidentale, un po’ come il dialetto irpino e quello veneto. Il dialetto si estingue su scala locale, ma si trasferisce su scala internazionale”. Il solo ottimismo cui lascia spazio l’indagine di Armnio sembra essere quello dell’intelligenza delle cose, di per sé un valore inestimabile, una riuscita personale anche di fronte a un ubiquo fallimento. 

Franco Arminio

mercoledì 8 maggio 2013

EDUARD LIMONOV - IL LIBRO DELL'ACQUA



E’ raro imbattersi in un quadro più attendibile e inquietante della Russia postsovietica. Quello di un potere centrale che tiene a fatica le briglie di ottantanove regioni attraversate in gran parte da movimenti indipendentisti combattenti. Un mondo di guerriglieri, mercenari, capibanda, fondamentalisti, armate regolari, servizi segreti, trafficanti e un coacervo di etnie spaventoso. In mezzo vi scorrazza Eduard Limonov, fondatore e presidente del Partito nazionalbolscevico, una formazione sorta nel ‘93 che raccoglie malcontento e naziskin, frange estreme di destra e di sinistra in un iconoclasta credo post-ideologico. Amante del mitra e della penna, questo provocatore mediatico che ostenta machismo e pedofilia ha ormai al suo attivo una quindicina di libri, racconti e romanzi nei quali il protagonista è ogni volta lui stesso. Un processo di instancabile autofiction in cui il suo narcisismo ipertrofico si espande con una scrittura colma di aneddoti e incurante di moine stilistiche. Una specie di fluviale reportage a puntate in cui lo scrittore guerriero racconta una vita che avventurosa è dire poco. Per il suo ultimo libro, scritto nel 2002 nel carcere di Lefortovo dove sconta una pena per sospetta attività terroristica e traffico d’armi, Limonov inventa una struttura che permette di entrare e uscire dal racconto liberamente, aprendo, se si vuole, le pagine a caso. Episodi che coprono circa un trentennio di vita, dagli anni ‘60 ai ’90, sono associati a mari, fiumi, laghi, stagni e qualsiasi bacino idrico capace di sollecitare un ricordo significativo. L’ordine cronologico e quello dei luoghi è sovvertito come in un mosaico che il lettore ricompone a piacimento viaggiando tra gli Stati Uniti e la Francia, l’Italia, i Balcani, l’Inghilterra e il caleidoscopico affresco delle Repubbliche della ex Unione Sovietica. Capita di sorprendere l’autore a New York mentre lavora come maggiordomo in casa di un milionario americano dove consuma esagitate storie di letto tra una piccola e culona pianista russa, una star tettona del cinema polacco e la sua ex moglie. Le donne, come la guerra e i pericoli, sono onnipresenti e potrebbero essere accanto all’acqua l’altra chiave d’accesso ai ricordi. Le gesta amatorie del libertino scrittore tanto dongiovanni quanto cornuto compongono un elenco di sconcertante ricchezza. La relazione con la sedicenne Naskja che porta a spasso per Mosca fingendo di esserne il padre è la punta più scandalosa di questa abbuffata di sesso sregolato. Ma in Limonov tutto è scandalo e provocazione. L’anarchismo ribelle di questo cultore del rischio giunge fino agli avamposti remoti della Siberia e dell Tagikistan, dove è scortato dai suoi fanatici nazionalbolscevichi e incalzato dai servizi segreti. Prende accordi con signori della guerra locali, intesse doppie relazioni con colonnelli d’armata inviati dalla capitale per sedare le rivolte, rilascia tumultuose interviste, inscena eventi promozionali di un partito che cerca adepti tra gli insoddisfatti di ogni origine e risma. Ma sa anche rievocare con delicatezza le innumerevoli passeggiate lungo la Senna, accanto alla quale ha vissuto ben quattordici anni, i pomeriggi di sole cittadino tra parigine in topless, arabi guardoni dai ponti e una piccola folla di artisti che frequenta in compagnia della moglie Natasa. Gli arresti a raffica che si abbattono su amici e membri del Partito nazionalbolscevico, all’ombra di granate e kalashnikov, convivono con descrizioni idilliache della natura selvaggia delle plaghe russe dove si mischiano “l’odore della carne e del grasso di montone, del pane al forno, del sudore dei soldati, dell’olio delle macchine e delle armi e un intenso profumo di fiori”. Un carnevale ubriacante di bellezza barbara e assolutamente
attuale.                 
   
Eduard Limonov