Questa
raccolta di scritti dell’autore di opere teatrali come Glengarry Glen Ross o sceneggiature come Il postino suona sempre due volte è un diario privato che ha accompagnato
la crescita dell’artista e in cui troviamo un po’ di tutto, dagli appunti di
vita vissuta alle riflessioni teoriche. La prima parte si concentra sul teatro,
costante amore di Mamet. In polemica con l’invadenza del tecnicismo, del trito
pattume televisivo e dei condizionamenti economici che finiscono per rivelarsi
delle vere e proprie forme di censura, il drammaturgo americano lo elegge a
luogo dove è ancora possibile ascoltare la verità L’autenticità del teatro nel riflettere la
condizione umana è il risultato di un’educazione a cogliere il senso di ogni
momento, ogni azione scenica, con un gusto per la precisione che sconfina
nell’“adorazione dell’evanescente”. La personale concezione di Mamet avvicina
il procedimento drammatico allo sviluppo onirico. La logica dell’arte non
ubbidisce a criteri razionali di causa-effetto ma prende forma assecondando
intuizioni che affondano nell’inconscio e solo così riescono a dare risposte
innovative ai dilemmi dell’uomo. Notevoli sono le pagine che trattano del passaggio
dal panteismo infantile in cui la parola conserva intatta la sua forza magica
al disincantato monoteismo dell’adulto, quando ci si rassegna a far posto alla
possibilità di mentire, oppure quelle in cui lo scrittore riconosce il suo
debito verso la radio. Raccontando le esperienze di crescita artistica e
distribuendo preziosi consigli didattici indica il radiodramma come formidabile
palestra per l’autore di teatro: una scuola all’essenzialità del dialogo e
all’eliminazione delle descrizioni superflue. Caratterizzare troppo la storia,
insegna Mamet, vuol dire prendere tempo e indebolirla, un fatto che in radio
diventa impossibile, pena la noia mortale dell’ascoltatore. La seconda parte
del libro raccoglie brani eterogenei che non mancano di soddisfare le curiosità
attorno alla vita quotidiana dell’artista, passioni, hobbies e idiosincrasie.
Stilettatore della mentalità nazionale scaduta al rango di sistema a partito
unico, censore di mode stravaganti e vanesie nonché disilluso assertore di una
decadenza ormai universale, Mamet riesce a trasmettere malgrado tutto un
sorprendente entusiasmo per il quotidiano. Ci racconta della passione per il
poker, dei vizi dei giocatori e del metodico stoicismo che adotta il vincente,
ci parla dei viaggi in famiglia, dei piaceri coniugali e delle velenose
intemperanze femminili, ma corre anche con la memoria ai tempi in cui si
eclissava in fumose sale da biliardo. Erano pomeriggi o mattinate di pacifica
solitudine. Il mondo scorreva in un lontano brusio. “Che le cose vadano avanti
per la loro strada. Io sono andato a pescare. Non mi troveranno da nessuna
parte. Non sono da nessuna parte. Qui nessuno può trovarmi.” Raccontata sempre
in prima persona, la terza parte di Note
in margine a una tovaglia torna a occuparsi di teatro e di cinema. In un
piccolo brillante zibaldone, a intuizioni teoriche e consigli agli attori si
uniscono resoconti di mesi passati su un set di ghiacci canadesi dove si
delineano le bizzarrie caratteriali dei membri della troupe. Nelle note di
regia per Il Giardino dei ciliegi,
Mamet rivela il movente subconscio e la sessualità frustrata che muove i
personaggi e avvince lo spettatore al di là delle delicate acrobazie della
trama cechoviana.
David Mamet
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