Morvan
è un commissario di polizia che a quarant'anni si trova completamente solo,
reduce da un fallimento matrimoniale con Caroline, senza figli, con un padre
morto suicida e una madre scomparsa subito dopo la sua nascita. E' un uomo
paziente, meticoloso, schivo e affetto da un sonnambulismo che trasforma le sue
solitarie passeggiate parigine in visionarie panoramiche su una città
crepuscolare, fantasmatica, intrisa di immagini inquietanti. Nel decimo e
undicesimo arrondissement, attorno a piazza Léon Blum, la sanguinaria follia di
un mostruoso assassino ha fatto strage di ventisette vecchiette, squartate,
violentate e sventrate accuratamente al termine di amabili cenette tete-à-tete.
Morvan viene nominato capo del distaccamento speciale preposto alle indagini.
Dall'altra parte del mondo, in Argentina, tre amici di vecchia data, Tomatis,
Pichon e Soldi, sono accomunati dalla passione per il ritrovamento del
dattiloscritto di un estroso romanzo storico, di autore anonimo, ambientato
nell'accampamento militare greco alle porte di Troia ancora inattaccabile. Due
universi separati, quello dell'indagine del commissario e quello delle
chiacchierate degli amici in una caldissima notte di fine estate, che collidono
quando scopriamo che la storia di Morgan è narrata proprio da Pinchon ai due
compagni tra sorsi di birra rinfrescante e dense boccate di sigari cubani, in
un'atmosfera di attesa sospesa e rarefatta. Juan
José Saer, uno dei più notevoli scrittori argentini scomparso a Parigi nel 2005, fondendo in un originalissimo esercizio letterario le sue
competenze giuridiche, filosofiche e cinematografiche, ci intriga in una
narrazione realistica e metafisica, colma di elementi in apparenza incongrui ma
che entrano a far parte di un'unica indagine sottile, da romanziere attento
agli sviluppi della trama ma incline per natura ad addentrarsi nel più fitto
mistero dell'umano. Basterebbe pensare, per accogersene, al modo in cui rivela
gradualmente il passato del solitario Morvan, fino a quella decisiva ferita
della scomparsa materna, o all'acume clinico e sentimentale con cui restituisce
i ritratti delle sfiorite pensionate metropolitane, tra gli ultimi vezzi di
esistenze al tramonto e quella verità raggiunta solo quando non c'è più niente
da perdere, "una sincerità senza premeditazione" a cui Saer rende
omaggio in alcune delle pagine più belle. O ancora, per provare quanto lo
scrittore sia interessato al risvolto più interiore dell'indagine poliziesca,
basterebbe rileggere il passo in cui Pinchon, sospetto alter ego del narratore,
confessa il suo improvviso accesso all'età adulta quando si accorge che il
ritorno nel suo luogo natale, l'Argentina, non gli dà più alcuna emozione,
perché essere veramente adulti significa ormai riconoscere che la propria
patria non è un luogo spaziale o geografico, ma qualcosa di "fisico,
chimico, biologico, cosmico". L'indagine è insomma un libro che leggiamo e percepiamo a più livelli, curiosi di
seguire le scie dell'assassino e sorpresi di imbatterci in intuizioni di
portata universale che possono trasformare un racconto realistico in un
dissimulato trattato filosofico. Mentre nella sudatissima notte sudamericana ci
si arrovella attorno alle ipotesi del possibile colpevole, a Parigi, nel corso
del ventottesimo omicidio, l'introvabile sterminatore seguito dal distaccamento
speciale e da tutti i quotidiani del mondo compie il primo passo falso
lasciando un pezzettino
di carta rivelatore nel corridoio d'entrata dell'appartamento della vecchietta martoriata.
Si tratta del lembo di una lettera stracciata poco prima nella stanza del
commissario. E in un epilogo sorprendente i sospetti passeranno all'improvviso
dalla preda all'inseguitore, stringendo la rete proprio attorno a lui, Morvan,
ventinove volte matricida. Anche se nulla, dopo un finale dei finali
ambiguamente duplice, possiamo dire con certezza.
Juan José Saer
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