VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

martedì 14 agosto 2012

AMADOU HAMPATE BA - IL SAGGIO DI BANDIAGARA


C’è un libro che ho tenuto a lungo sul comodino. Racconta la vita, la parola e l’insegnamento di Tierno Bokar (1875-1940). Lo rileggo spesso, a tratti. Prima di cercare la traduzione italiana e di scoprire che Peter Brook ne ha offerto una mirabile versione teatrale, ho acquistato a Dakar l’edizione francese pubblicata dalle Éditions du Seuil nel 1980. L’autore, allievo del maestro sufi di Bandiagara, villaggio maliano nei pressi della falesia dei Dogon, è Amadou Hampaté Bâ. Tierno Bokar non ha lasciato nulla di scritto, ma la sua parola può ancora riverberarsi grazie al lavoro del grande scrittore, etnologo e storico delle tradizioni africane, riferimento essenziale per chiunque voglia avvicinarsi a quelle culture e a quell’universo spirituale. Sono pagine capaci di dispormi a una forma di serena concentrazione indotta dalla lettura di una lezione di saggezza e amore incarnato in una vita trascorsa nell’osservanza della legge rivelata mai disgiunta dal suo senso mistico. Ogni professione di fede e ogni devozione sono praticate e insegnate da Tierno Bokar con un intuito tanto profondo quanto semplice nella forma del suo offrirsi, grazie ad apologhi che mirano al cuore dell’ascoltatore con rara intensità maieutica. Fu un uomo, le sage de Bandiagara, capace di adattare i suoi insegnamenti alle diverse capacità di comprensione dei suoi interlocutori, inventando parabole che seminano grani luminosi in ogni spirito. Il racconto del pozzo che si nutre di acque filtrate dalla terra e non dai saltuari rivoli della superficie, quello delle tre diverse luci, dei tre gradi della fede, quello del commerciante avaro o dei molti bambini con un solo padre sono gemme scelte da uno scrigno di raffinatissima sapienza. Tierno Bokar, marginalizzato e perseguitato sul finire della vita, illustrando la potenza del Verbo divino sosteneva che tutto, nell’universo, a tutti i livelli, è vibrazione e solo le differenze di velocità di queste vibrazioni ci impediscono di percepire le realtà che chiamiamo invisibili. Usava a proposito l’immagine dell’elica di un aereo, che soltanto a partire da una certa velocità di rotazione diventa invisibile. "Dite: noi crediamo in Dio, in ciò che è stato rivelato a noi e in ciò che fu rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, e alle Dodici Tribù, e in ciò che fu dato a Mosè e a Gesù, e ai profeti dal Signore; non facciamo differenza alcuna tra loro e a Lui tutti ci diamo!” Si tratta di un versetto coranico (II, 136) citato in queste pagine che ricorda la radice unica di tutte le grandi religioni monoteiste. Un illusorio prisma si concentra in un solo raggio e cammini in apparenza distanti si conciliano rischiarati da un occhio che mira all’essenza, restaurando quella che il maestro chiamava la religione primordiale.

Amadou Hampate Ba

Amadou Hampate Ba, a proposito delle tradizioni orali africane :

mercoledì 1 agosto 2012

JUAN JOSE' SAER - L'INDAGINE



Morvan è un commissario di polizia che a quarant'anni si trova completamente solo, reduce da un fallimento matrimoniale con Caroline, senza figli, con un padre morto suicida e una madre scomparsa subito dopo la sua nascita. E' un uomo paziente, meticoloso, schivo e affetto da un sonnambulismo che trasforma le sue solitarie passeggiate parigine in visionarie panoramiche su una città crepuscolare, fantasmatica, intrisa di immagini inquietanti. Nel decimo e undicesimo arrondissement, attorno a piazza Léon Blum, la sanguinaria follia di un mostruoso assassino ha fatto strage di ventisette vecchiette, squartate, violentate e sventrate accuratamente al termine di amabili cenette tete-à-tete. Morvan viene nominato capo del distaccamento speciale preposto alle indagini. Dall'altra parte del mondo, in Argentina, tre amici di vecchia data, Tomatis, Pichon e Soldi, sono accomunati dalla passione per il ritrovamento del dattiloscritto di un estroso romanzo storico, di autore anonimo, ambientato nell'accampamento militare greco alle porte di Troia ancora inattaccabile. Due universi separati, quello dell'indagine del commissario e quello delle chiacchierate degli amici in una caldissima notte di fine estate, che collidono quando scopriamo che la storia di Morgan è narrata proprio da Pinchon ai due compagni tra sorsi di birra rinfrescante e dense boccate di sigari cubani, in un'atmosfera di attesa sospesa e rarefatta. Juan José Saer, uno dei più notevoli scrittori argentini scomparso a Parigi nel 2005, fondendo in un originalissimo esercizio letterario le sue competenze giuridiche, filosofiche e cinematografiche, ci intriga in una narrazione realistica e metafisica, colma di elementi in apparenza incongrui ma che entrano a far parte di un'unica indagine sottile, da romanziere attento agli sviluppi della trama ma incline per natura ad addentrarsi nel più fitto mistero dell'umano. Basterebbe pensare, per accogersene, al modo in cui rivela gradualmente il passato del solitario Morvan, fino a quella decisiva ferita della scomparsa materna, o all'acume clinico e sentimentale con cui restituisce i ritratti delle sfiorite pensionate metropolitane, tra gli ultimi vezzi di esistenze al tramonto e quella verità raggiunta solo quando non c'è più niente da perdere, "una sincerità senza premeditazione" a cui Saer rende omaggio in alcune delle pagine più belle. O ancora, per provare quanto lo scrittore sia interessato al risvolto più interiore dell'indagine poliziesca, basterebbe rileggere il passo in cui Pinchon, sospetto alter ego del narratore, confessa il suo improvviso accesso all'età adulta quando si accorge che il ritorno nel suo luogo natale, l'Argentina, non gli dà più alcuna emozione, perché essere veramente adulti significa ormai riconoscere che la propria patria non è un luogo spaziale o geografico, ma qualcosa di "fisico, chimico, biologico, cosmico".   L'indagine è insomma un libro che leggiamo e percepiamo a più livelli, curiosi di seguire le scie dell'assassino e sorpresi di imbatterci in intuizioni di portata universale che possono trasformare un racconto realistico in un dissimulato trattato filosofico. Mentre nella sudatissima notte sudamericana ci si arrovella attorno alle ipotesi del possibile colpevole, a Parigi, nel corso del ventottesimo omicidio, l'introvabile sterminatore seguito dal distaccamento speciale e da tutti i quotidiani del mondo compie il primo passo falso lasciando un pezzettino di carta rivelatore nel corridoio d'entrata dell'appartamento della vecchietta martoriata. Si tratta del lembo di una lettera stracciata poco prima nella stanza del commissario. E in un epilogo sorprendente i sospetti passeranno all'improvviso dalla preda all'inseguitore, stringendo la rete proprio attorno a lui, Morvan, ventinove volte matricida. Anche se nulla, dopo un finale dei finali ambiguamente duplice, possiamo dire con certezza.



Juan José Saer