Nell'immediato appaiono come due parti di romanzo indipendenti, entrambe raccontate in prima persona dai rispettivi protagonisti. L'umiliazione delle stelle narra l'avventura dell'autore su una nave scuola della Guardia di Finanza che partendo da Bari risale l'Adriatico segnando le diverse tappe previste dall'iniziativa pedagogico-istituzionale Libridamare. Una crociera che diventa l'occasione per tornare alle radici slave dello scrittore triestino e tenere un diario parallelo di ciò che accade a bordo, tra personaggi che nascondono un profilo ambiguo e l'incontro sconvolgente con la misteriosa Angela, ragazza nera che si infila clandestinamente nella sua cabina. Musica per aeroporti è invece uno spaccato di vita della giovane italiana di origini africane, la stessa Angela apparsa nel corso della crociera adriatica, la cui vera identità è quella di Fiona, figura cardine già in precedenti opere di un autore tra i migliori della letteratura italiana contemporanea. L'architettura narrativa di Covacich non ubbidisce a disegni preparati e la scrittura cresce attorno a nuclei che proliferano e si intersecano fino a comporre un quadro denso che avvince per la tenuta stilistica e l'urgenza dei contenuti. E' l'idea di un romanzo che interseca e corteggia molteplici tracce autobiografiche creando una famiglia di alter ego, anime diverse di un autore che testimonia la dura resistenza a un presente, storico e privato, tutt'altro che ospitale. Le tracce sotterranee e i motivi ispiratori che legano le prime due lunghe parti di A nome tuo sono il dramma della sofferenza umana, l'insensatezza di una vita risucchiata come nulla fosse stato nel totale buio della morte e la libertà di scegliere il momento della propria fine come antidoto all'insostenibilità del male fisico. A sollevare parzialmente dalla caduta irreversibile rimane la memoria, riscoperta di radici sentimentali e storiche vissuta come escursione pacificante verso oasi sperdute di passato che sospendono la morsa rabbrividente dell'attualità. Lo scrittore in visita a Durazzo, Cattaro, Dubrovnik, tra le isole di Hvar e Brač o a Capodistria, è un uomo che avverte la minaccia di un piano occulto tramato alle sue spalle dai responsabili della navigazione, un viaggiatore stretto tra l'ufficialità del ruolo di intellettuale e un'intima macerazione, incline a meditazioni sulla deperibilità universale, sulla progressiva, invalidante senescenza propria del destino umano. Annovera noiosi acciacchi fisici, la sconnessione dei dischi vertebrali o crisi emorroidali risolte in cruente automedicazioni, danni che non sarebbero così opprimenti se non fossero spiragli attraverso cui scorgere orizzonti catastrofici. Il racconto della nonna mummificata in vita e imboccata dalla badante prelude a un peggio che sarà presto raccontato, mentre la clandestina Angela lo irretisce in una scherma di provocazioni erotiche. E a un tratto, come aprendo un nuovo libro, inizia la vita in presa diretta di questa Angela-Fiona che per mestiere aiuta a morire malati terminali. L'infaticabile nuotatrice residente a Maccarese, sul litorale laziale, in una zona di spoglia e selvatica suggestione nei paraggi di Fiumicino, trova nelle eccessive prove di resistenza fisica un sollievo temporaneo all'assedio dei pensieri che ritornano come una marea incessante dal suo inconfessabile lavoro. Le descrizioni delle visite a vecchi e giovani sfiniti che optano per un'eutanasia guidata sono marcate da relazioni minuziose in cui appaiono esseri umani torturati da sclerosi galoppanti e tumori irreversibili. Attorno mulina la vana giostra di un società chiassosa, ambienti creativamente chic di una Roma pesante e fatua, relazioni marcate da rapinosi appagamenti e saltuari ritorni a quel che resta della famiglia, un padre vecchio e dolce e un nonno semisordo accudito dalla solita badante. Più indietro ancora, sulla scia di un accorato flusso memoriale, un'adorata madre scomparsa ad appena quarant'anni, fantasma che riemerge dal fondo scuro delle acque quando Fiona spinge pericolosamente le sue bracciate troppo lontano dalla costa. Un'inquietudine costante, quella della giovane fondista impegnata a zittire la coscienza, che si scontra con una materia ancora più ostica quando incappa nell'ingegnere Grimaldi, coltissimo amante di Virgilio deciso a farla finita ancorché in buona salute. Non è tra i compiti di Fiona assistere il trapasso di un caso simile, dovrebbe andarsene, invece rimane visceralmente presa dal vecchio stanco di una vita che ritiene già compiuta e rivendica il diritto alla sua decisione con logica implacabile. I dialoghi tra i due e la complicità che si crea nel vuoto dei silenzi fanno della morte un tema di riflessione sempre più esplicito, innestando questioni metafisiche nella carne viva dei personaggi, temi capitali che diventano letteratura senza abusare di astrazioni. Un rovello ficcato nel cuore del romanzo fino all'epilogo, in cui si perdono le tracce dell'aspirante suicida e Fiona invia una lettera a Mauro Covacich accusandolo di essere ricorso a un plagio per mettere a punto la videoinstallazione realmente presentata dall'autore nel 2009 a Venezia. Ultime pagine spiazzanti, che rimandano a un labirintico gioco di identità tra l'artista e le sue controfigure immaginate.
Mauro Covacich
Nessun commento:
Posta un commento