VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

venerdì 19 maggio 2017

ROBERT GRAVES - ADDIO A TUTTO QUESTO - ADELPHI 2016


Robert von Ranke Graves, uno dei grandi intellettuali eclettici - poeta, saggista e scrittore - del secolo scorso, scrisse questa autobiografia a soli trentatré anni, nel 1929, quando, ufficiale in congedo con una famiglia in frantumi e una patria che non riesce più a sopportare, dice Goodbye to All That e inizia l’avventura dell’esule (germinata ben prima, nell’animo), che trova il suo puerto seguro nella natura ancora semivergine dell’isola di Maiorca, dove scrive e soggiorna fino alla morte, avvenuta nel 1985. La parte iniziale del libro attinge al periodo dell’infanzia e della primissima adolescenza, trascorse prevalentemente a Wimbledon, cittadina in cui abitano il padre irlandese e la nobile madre tedesca, e da cui il piccolo Graves si allontana per passare le vacanze nell’antica casa padronale del nonno vicino a Monaco di Baviera, piena di incanti e misteriose sorprese. E’ al termine di un inquieto pellegrinaggio tra non poche scuole che approda alla Charterhouse, una tra le più prestigiose istituzioni scolastiche private inglesi, dal clima dorato ed ipocrita, intriso di sottaciuto classismo e infervorato da passioni omoerotiche che sono quasi la norma. Ma la Storia incalza e l’intera generazione di Graves verrà decimata dalla guerra imminente. L’allievo ufficiale che il comandante di compagnia definisce “poco militaresco e rompiscatole” si arruola nel glorioso reggimento dei Fucilieri del Galles, con il quale parte per la Francia settentrionale, alla volta di una delle più impressionanti e sistematiche carneficine che la storia abbia conosciuto. “Un terzo della mia generazione scolastica perse la vita” tira le somme in un passo della narrazione. 

Robert Graves in uniforme, 1915

Tutto l’orrore e l’assurdo, i morenti, i cadaveri e il disordine delle trincee, con avanzamenti o arretramenti di poche centinaia di metri che costano lo strazio di migliaia e migliaia di giovani, è riportato dallo scrittore con una precisione agghiacciante, laicamente pietosa, scandendo la cronaca di attese interminabili e feroci battaglie combattute a Béthune, Loos, Annezin, Cambrin, Ipres e tante altre località sulla linea del fronte, e scegliendo per raccontare uno sguardo per nulla fazioso, che prende onestamente atto di una crudeltà e di una condizione umana senza bandiera, per cui anche il mito dei tedeschi più crudeli degli Alleati viene sfatato e la risibilità delle convinzioni religiose e patriottiche emerge in tutta la sua desolante verità. Ogni motivazione precipita nella mattanza in atto sul teatro di guerra e gli uomini si aggrappano ai puri automatismi della sopravvivenza. Ci sono altri poeti, oltre a lui, in quell’inferno, tra cui il caro amico Sigfried Sassoon, che da sopravvissuto, anni dopo, esalterà il pacifismo e dovrà ricorrere, come molti reduci, a cure psichiatriche per sopportare il ritorno continuo di troppi fantasmi. Specie durante i brevi congedi il comandante Graves incontra molti grandi letterati e intellettuali dell’epoca: Aldous Huxley, Lytton Strachey, Bertrand Russell, Wilfred Owen. Il 16 luglio 1916 è ferito gravemente dall’esplosione di uno shrapnel, e i genitori, dopo l’avventata sentenza di un superiore che lo dichiara spacciato, ricevono una lettera formale di condoglianze, morto a seguito di ferite, cui seguirà sulle colonne del Times una divertita smentita del supposto decesso. Il redivivo ufficiale, dopo quattro anni e mezzo in cui ha indossato ininterrottamente la divisa, torna finalmente alla vita civile. Occorrerà molto tempo perché si attenuino le sofferenze psicologiche e le ricorrenti allucinazioni. Intanto, grazie all’interessamento di T.E. Lawrence, il mitico Lawrence d’Arabia, il poeta trentunenne parte con la famiglia e insegna per alcuni mesi letteratura inglese all’Università del Cairo. Ma le avventure accademiche di gusto coloniale, così come l’apatico esotismo di quei luoghi pur fascinosi non fanno per lui. Si licenzia e torna in patria a secco di soldi, con i figli ancora piccoli e un matrimonio agli sgoccioli. Sono questi degli ultimi passi dell’autobiografia di un trentenne che è già ricca di cose vissute come al culmine di un percorso lunghissimo, con un nuovo capitolo che si sta per aprire oltremanica e quello della vecchia Inghilterra lasciato per sempre alle spalle.       

domenica 14 maggio 2017

CAROLE HILLEBRAND - ISLAM - EINAUDI 2016

In questo sconcertante momento storico, con una buona parte del mondo messa a soqquadro da conflitti di interessi armati per cui si inventano semplicistiche e spesso false giustificazioni, mentre siamo costernati di fronte a violenze incomprensibili e immensi dolori di esseri umani innocenti trucidati in nome di una fede che in realtà, per chi la pratica a quel modo, non esiste, sgombrare il campo da equivoci e mistificazioni è il primo passo verso una distensione e una pace ancora lontane. I non musulmani sanno generalmente poco o pochissimo dell’islam e della sua storia; mancano di nozioni fondamentali per capire cosa significa, come si è sviluppata e ramificata l’espressione di questa fede millenaria. Il saggio di Carole Hillebrand, professore di Storia islamica presso l’Università di Edimburgo, studiosa letta e apprezzata anche in paesi islamici, racconta con chiarezza e serietà storiografica, in modo agile e piacevolmente accessibile, la grande avventura iniziata con la rivelazione del Profeta Muhammad. L’Arabia preislamica, la vita e il messaggio del fondatore dell’islam, il sacro Corano, i suoi temi principali e la sua lingua, il Credo che oggi accomuna circa un miliardo e seicento milioni di uomini e donne, i suoi cosiddetti cinque pilastri - la professione di fede, la preghiera, l’elemosina, il digiuno e il pellegrinaggio -, quindi la legge e la sua evoluzione nella giurisprudenza, la diversità dei diversi contesti, in primo luogo quelli sunnita e sciita, e ancora il pensiero islamico e la sua crescita nel mondo antico, medievale e moderno, le vertiginose speculazioni del sufismo con i suoi celebri maestri e la nascita delle secolari confraternite, l’approfondimento del tema scottante del jihad maggiore, quello spirituale contro le proprie insane pulsioni egoistiche, e del jihad minore, che consente di imbracciare le armi a specifiche e determinate condizioni cui gruppi di fanatici sedicenti islamici soprassiedono con efferata ignoranza, infine il ruolo delle donne nello sviluppo delle società musulmane: tutto questo ci consente di approfondire un libro ricco, importante, che giunge in un momento così delicato e drammatico. 


Carole Hillebrand

Mano a mano che ci addentriamo nell’esposizione sintetica e oggettiva di Hillebrand molti pregiudizi e fraintendimenti che ruotano attorno all’idea convenzionale di islam iniziano a dissiparsi e assumiamo una prospettiva storica più corretta in cui inquadrare una religione tanto discussa e temuta, specie da coloro che pretendono di giudicarne l’impatto sulla base esclusiva di eco mediatiche che diffondono quasi solo notizie di crimini e stragi. Rettificando l’opinione corrente, le sanguinose vicende attuali del terrorismo internazionale ci appaiono sempre più chiaramente come gravissime distorsioni di un messaggio che per la stragrande maggioranza dei musulmani rimane quello di pace e tolleranza; l’orrenda pratica della mutilazione genitale femminile, ancora in uso presso diversi popoli di fede islamica, risulta, a un esame documentato, un’eredità di tradizioni locali che non hanno nessun fondamento in prescrizioni coraniche. In modo analogo altre idee comunemente assodate finiscono per essere riviste o interamente smentite. L’uccisione di donne, vecchi, bambini e persone non belligeranti è assolutamente interdetta in tutti i maggiori trattati riguardanti il jihad; i musulmani nativi e residenti nelle regioni arabiche sono il 5% dei musulmani nel mondo ancorché si pensi prevalentemente a quei luoghi e ai loro abitanti per identificare i portatori dell’islam autentico; il tanto dibattuto velo che copre il capelli di molte donne musulmane, lontano dall’essere imposto, è spesso percepito da loro stesse come espressione di libertà e consapevole scelta religiosa; movimenti femministi e riformisti tendono sempre più a rafforzarsi nonostante l’attiva presenza di correnti retrive e tradizionaliste. A discapito di coloro che vorrebbero passare per buona l’immagine monolitica di un islam immutabile e primitivo moltitudini di tranquilli e devoti praticanti scelgono la via della flessibilità e della tolleranza nei mutevoli contesti sociali. Un’enorme distanza, insomma, corre tra le cattive suggestioni dei teatrini televisivi e dei proclami mediatici e una conoscenza più meditata e argomentata, che anche queste pagine aiutano ad acquisire.