Per
prima cosa mi è venuto da digitare oi. Oi come il male dolce che mi fa pensare
a lei lontana, lei che sbatte gli occhi e li richiude, lei che sopporta e
agisce per volontà di specie, per volontà di sangue, per volontà di cuore. Di
necessità, soltanto. Oggi - l’attenzione era moltiplicata visto il pensiero
ricorrente a lei - ho visto issare malamente un cane, qui, in una via africana,
issarlo su per il collare da un incosciente che guidava un carretto trainato da
un cavallo. Ho avvicinato l’incosciente e l’ho redarguito, inutilmente, forse,
ma l’ho fatto, ricorrendo pure all’Islam e confidando in quel residuo di
coscienza che può sollecitare il nocciolo di bene delle religioni. Gli ho detto
che il Profeta fece spostare la direzione di un esercito per non disturbare una
cagna che allattava. Gli avrei voluto dire anche che a un uomo è toccato il
Paradiso per avere dato acqua a un cane assetato. Ogni istante di bontà è il Paradiso, avrei voluto aggiungere,
se solo avessi avuto tempo e comprensione. Ogni attimo di dono è una parte di
sé che si sposta in alto. Che sfugge, altissima, alla prigione. Se solo lo
avesse capito. Ma spero che almeno lui, il cane intendo, stia un po’ meglio.
Era malato, per giunta, ferito come di una rogna tutto intorno alle orecchie.
Scrivo di questo perché mi addolora e mi commuove pensare a lei, appunto, la
mia diciassettenne a quattro zampe che non se la sta passando proprio bene. La sua
anima, che partecipa dell’anima di chi ne ha condiviso umori, giochi, giornate,
vacanze ma anche solo piccoli momenti di compagnia: la sua anima, immagino, a
quest’ora starà dormendo in cuccia, acciambellata, trasognata, indaffarata con
quel notturno sibilo mentale che porta immagini e pensieri, visioni agli uomini
quanto agli animali. Anima che è cosa estesa, multiforme: campo in cui si entra
vivendo solamente. E se si muore l’anima svapora, trascolora, trasmigra e non
scompare. Se ne va, se ne gira, flirta coi ricordi. Resta sempre anche dove non
ci siamo. E’ più del corpo, ed è il suo frutto. Il frutto e il duplicato delle
gesta, l’impronta dei viventi, degli andati. Solo un salto, volevo fare - per
questo, forse, sono giunto fino a qui - dall’altra parte del Sahara e del
Mediterraneo, oltre gli Appennini, e discendere sulla costa marchigiana per
portare, qualunque e comunque valga, la benedizione che chiedo questa notte al
mio Signore. Che scenda sulla casa, e come spero vi importi almeno un poco
anche su di voi, sulle case di noi tutti. E se non importa non importa,
scenderà o non scenderà comunque. Qualunque cosa sia, sappiate o non sappiate,
offro questo a lei, Daisy, e insieme a tutti, a tutte, alle notti coi vitelli
nei campi collinari, alle fragole nascoste nel fogliame dove non è ancora
inverno, a chi fa un amore appassionato e disperato e a chi dorme nelle braccia
di sua madre. E a chi dorme solo, certo, cullato dall’invisibile sfera degli
assenti. A tutti. A tutto. E dico Amen. Amen.
Daisy
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