VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

sabato 26 ottobre 2013

FRANCO ARMINIO - GEOGRAFIA COMMOSSA DELL'ITALIA INTERNA



Franco Arminio è poeta che scioglie i suoi versi in una prosa aperta come un ventaglio di sguardi, percezioni, intuizioni. Un pensare rapido e incisivo, il sentimento di un nomade che rimane tale pur viaggiando in terra propria, con la sua affezione per quel che accarezza da vicino e scruta dal cannocchiale della lontananza irrimediabile. Il cantore della sua terra irpina e di tutto il nostro intenso, ferito, sorprendente meridione, si aggira concentrato e distratto come un nostalgico della pienezza cui è dato di gustarla solo se intercettata quasi per errore, bandendo ogni volontà di appropriazione, dopo lunghi corteggiamenti o per effetto di un’amorosa folgorazione, comunque al di là di verbosi esercizi e studiati appostamenti. La poesia, “il nesso più potente tra le parole e le cose”, è la sola pratica di salvezza per lo scrittore di Bisaccia: poesia come sguardo liberato, vibrante di un candore che sa leggere le cose senza anteporvi i cascami dello scrupolo raziocinante e dei saperi specialistici; senza ingessare l’anima dei luoghi dietro l’appropriazione sproloquiante del cattivo politico o del becchino laureato che sotterra il mondo sotto profluvi di statistiche. Leggere Arminio è respirare un’aria nuova, intuire una possibilità, una preziosa chance offerta a questa Penisola sfiatata. Il rimedio per salvare un’Italia perduta in derive sconcertanti è un balsamo interiore che curi il nostro intero modo di essere uomini: medicina che riscatti dall’incuria distratta di una modernità bugiarda che chiama progresso un’inquietante arretratezza culturale e spirituale. Geografia commossa dell’Italia interna è un vademecum per liberi cercatori e rivoluzionari che invaderebbero di poeti il Parlamento, rigenerando quei convegni di sonnambuli e ciarlatani lautamente rimpinzati con la partecipazione di uomini dalle visioni articolate e pure. In mezzo a tanti libri prevedibili e indigesti, questo di Arminio è un eccentrico regalo, un arioso zibaldone contaminato ovunque da una forma di particolare grazia. “Ogni sera in televisione si parla della crisi e invece bisognerebbe parlare del sacro.” Lo scrittore e poeta ha fame inarrestabile di verità semplici, chiare, verrebbe ormai da dire antiche: di una vita interiore che manca sempre di più in questi giorni cocciutamente diretti nel verso sbagliato. Arminio, per realizzare reportage che sono racconti o versi dissimulati in narrazioni brevi, corre tra i mille cuori della geografia peninsulare, bazzicando territori negletti, desolati, in cui si spalancano all’improvviso bellezze struggenti, in mezzo a gente oppressa da cataclismi e bugie - l’Aquila, l’Emilia dei terremoti -, chiamata a riconquistare insieme alle pareti infrante il dolce peso dei propri ricordi. C’è un socialismo dell’anima in queste pagine, un desiderio di incontro e rinnovo di comunità che spinge alla compassione, alla partecipazione ai guai altrui; un insistere nell’alveo di una familiarità millenaria da rinverdire accogliendola con tutti i sensi, da far vibrare dentro il corpo, rifuggendo il solito pietismo parolaio. Ancorato al suo sud, che diventa meridione nostro e universale, baricentro e garanzia di sostanza, terra e sangue, il poeta rabdomante, fondatore di una scienza concreta e amorosa, battezzata come in un patafisico e concretissimo gioco paesologia, gira per l’Italia attivandosi come un demone buono anche in rete, diffondendo attraverso Facebook il suo lavoro, lanciando messaggi di carnale intimità nell’asettico ambiente dei social network. Rimarca così le tappe dei suoi incontri in centinai di comuni grandi ma soprattutto piccoli o piccolissimi, manciate di case e piazze provinciali: appuntamenti cui fa partecipe una nutrita schiera di fedeli amanti ma prima di tutto complici di un sovversivo progetto umanistico. E’ un’idea di vitalità poetica che eccede ogni margine imposto e invade questo universo di plastica e vuoto pneumatico in cui ci siamo conficcati: un soffio di energia sobillatrice e risolutrice, scomoda e pacifica, utopia in movimento, pensiero minoritario e contagioso, oggi più che mai necessario. “Intrecciare politica e poesia, economia e cultura, scrupolo e utopia.” Ecco la direzione della Geografia commossa, che avverte, indica, eleva: intensa e girovaga, leggera e saettante, facendo pensare qualche volta al nomadismo terrestre e celeste di un Walser o di un Keller, con una gravità però di riflessione aggiunta, da speculatore orfico o saggio ammonitore dei tempi ultimi, originale intreccio che concilia “confliggere e contemplare”, ”ardore e malinconia”, “Pasolini e Walser” appunto, “due cose che non sono mai state insieme”, come suggerisce Arminio stesso, riunite entrambe attorno a focolari di un’Italia ricercata nella sua verità più nuda e forte, tra domestiche mura di donne e uomini colmi di sofferenza e amore, ambienti di vini scuri, nutrienti, latte munto da animali che brucano spargendosi, pura acqua corrente e pane tolto da forni che si direbbero ancora impastati d’argilla. “Non aspettarti niente da nessuno. E se vuoi aspettarti qualcosa, aspettati l’immenso e l’inaudito. E chiedilo, metti in ansia gli indifferenti, metti a disagio i tranquilli, spogliati, metti le costole sul tavolo, butta il cuore nel cestino, lascia che la tua lingua si affacci alla finestra. Qualcuno verrà a baciarla, oppure sarà cibo per gli uccelli.” Brucia davvero, Franco Arminio, e noi con lui, di commozione, mentre leggiamo le sue pagine. 

Franco Arminio

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