Adolf Hitler non è mai
morto suicida nel suo bunker. Si è soltanto addormentato, per più di mezzo
secolo, e si risveglia in un tranquillo pomeriggio del 30 agosto 2011, a
Berlino. Questa la premessa di un romanzo che ha saputo sfruttare fino alle estreme conseguenze il paradosso della vita postuma del
Terzo Reich. L’ironia e le battute esilaranti abbondano nel corso di una
narrazione che si distingue per prosa limpida e dialoghi nutriti di doppi sensi,
in cui le persone che circondano il vecchio e nuovo Führer mostrano un atteggiamento
di scherno insieme a un velato sentimento di rispetto. La delirante
cocciutaggine del signor Hitler alle prese con un paese percepito come
stravolto e decaduto ne fa un buffone che tuttavia riesce a conquistarsi
un’istintiva simpatia e un certo seguito, quasi che il suo autoritarismo, benché
stralunato e delirante, custodisca in sé un potere magnetico, un misterioso
fluido che ne rende la follia appetibile. Comici e giullari, sembra ammonire questa
parabola surreale costellata di riferimenti alla contemporaneità, sfuggiti dai
palcoscenici ed entrati con dispotica veemenza nella storia, non sono innocui
come si potrebbe credere, e proprio il giocare sul crinale dell’ambiguità tra
serio e faceto, grasse barzellette e invettive puntuali, li rende temibili
strumenti di un potere occulto, che indora il piatto preferito per meglio
sedurre la platea. Non si tratta di allargare la censura nei territori della
satira, ma di distinguere ambiti e non lasciare che sotto la campana della
libertà di pensiero si disinneschi il pericoloso arbitrio, mai inoffensivo, del
volgare. Che la forma non sia sostanza è uno dei più disastrosi equivoci della
vita sociale, la premessa alla sparizione di ogni ruolo meritato in un’arena
dominata da pagliacceschi tribuni della plebe. Questo Hitler che passeggia per
Berlino in tenuta militare, senza casa e documenti, rivendicando ad ogni
occasione le sue prerogative e la sua vera identità è il mostruoso giullare di
un circo che somigliare alla realtà. L’isterico Adolf finisce per diventare la
star di un programma comico televisivo, e dopo le prime battagliere
intolleranze dei media antagonisti e degli scandalizzati rappresentanti di
istituzioni democratiche, viene accettato come un fenomeno che grazie a una
caricatura tanto perfetta protegge la società dalle orrende derive che lui
stesso incarna. Un’ambiguità, certo, che Timur Vermes lascia aperta, senza
delineare una vera e propria fine della storia del Führer redivivo ma
fermandosi al punto in cui il comico di perfetta scuola Stanislavskij viene corteggiato
da un vasto gruppo di editori e movimenti politici, ghiotti della sua crescente
popolarità. Lui è tornato è un
romanzo spassoso e intelligente che racconta, in fondo, come la mediocrità
doverosamente caricata di lustrini ed echeggiata dai suoi troppi media possa
ridurci a servi imbambolati di malefiche illusioni.
Timur Vermes