Saper
rendere viva, scintillante ogni parola e riunire in una lingua originale i
trasparenti accenti del parlato accanto a momenti di una riflessione così
concisa e veracemente ironica da impietrire: sono doni che caratterizzano
l’intera produzione di racconti di Grace Paley, non moltissimi - tre raccolte
in tutta la carriera - ma tra i migliori della seconda metà del Novecento.
L’immagine dell’America e soprattutto di New York che ne emerge è un brulichio
di vite perlopiù appartenenti a classi povere, dove sussidi, famiglie numerose
di bambini con giovani madri solitarie, custodi di qualche piccolo benessere e
cacciatori di improbabili fortune fanno da protagonisti a un incessante scambio
di confidenze, furtive avventure di sesso e amore rubate al trito quotidiano,
sfoghi di dolore e di piacere. Eroi ed eroine di un universo all’ombra dei reboanti
eventi storici, ma che attorno a un tavolo di cucina o a zonzo per un parco
giochi periferico restituiscono il polso di un paese in modo più reale e
immediato di tante ambiziose costruzioni romanzesche. Una voce unica,
immancabile, quella della scrittrice newyorkese di famiglia ebrea russa
scomparsa nel 2007, capace di sedurre autori del calibro di Philip Roth o
Donald Barthelme. “Qualunque oggetto, qualunque gesto umano, ha in sé
un’infinità di parole che potrebbero descriverlo (…) Poi arriva Grace Paley:
apparentemente incapace di una frase banale, un’osservazione buttata lì, un
passaggio narrativo distratto” ricorda George Saunders nell’intensa e commossa introduzione,
e di fatto, ogni pagina di queste narrazioni sembra trovare proprio le parole
necessarie, puntuali, grazie a una specie di orecchio assoluto, un registratore
impeccabile di dettagli illuminanti.
Grace Paley
Il controcanto del grande sogno americano,
l’ondata tumultuosa degli hippies e dei ribelli al sistema, il ventre risonante
della contestazione politica e sociale, estrosi perdigiorno, anarchici e
comunisti trattati come eretici, abitatori erranti di quartieri stravolti dal
degrado: tutto ciò è incarnato in esistenze che testimoniano una lotta volta a
proiettarle come al di là di se stesse, verso un paradiso terrestre sfiorato quasi
accidentalmente, nel delirio amoroso, nel canto nostalgico e insieme
liberatorio di un’infanzia perduta, nell’ambizione realizzata di ritagliarsi
attimi di irregolare gioia nonostante il dissesto, l’apparente sconfitta, lo
spettro del definitivo fallimento. Le conclusioni dei racconti della Paley non
hanno mai triste o lieto fine, restano aperte, pudiche nell’azzardare un punto
fermo al fluire senza soluzioni della vita. Il suo più illustre e naturale
predecessore è Cechov. Un salto vertiginoso di contesto e ambiente sociale ma lo
stesso approdo a un’efficacia artistica che rende straordinario, e memorabile,
ciò che senza la lente di simili maestri può sfuggire inavvertito sotto gli
occhi.
(la recensione è apparsa sulle pagine culturali del quotidiano Il Cittadino del 9/5/2019)
(la recensione è apparsa sulle pagine culturali del quotidiano Il Cittadino del 9/5/2019)