La
casa editrice maceratese Quodlibet e la sua raffinata collana di narrativa Compagnia extra tornano a ospitare il
neoavanguardista, eclettico scrittore e sceneggiatore emiliano, al quale, a
circa un decennio dalla scomparsa, è stato dedicato nel 2016 un Meridiano che
ne ha raccolte le opere maggiori. Luigi Malerba riappare qui con un libro snello
ma ben rappresentativo della sua produzione, esilarante e denso di un umorismo
paradossale: una “favola”, come dichiara l’autore narrando le peripezie del protagonista,
l’eretico e svagato Mozziconi, romano che detestando l’insulso clamore dell’urbe
e l’aggressività truffaldina dei più spocchiosi abitanti, decide di distruggere
la casetta che abita all’Acquedotto Felice e stabilirsi nel greto del Tevere.
Luigi Malerba
Capita
ogni cosa, nella capoccia esplosiva dell’ “anarchista e ribellone”, che non si
è mai fatto un amico perché non ha mai avuto un nome da unire al cognome. Malerba
ne segue le gesta con una lingua scanzonata, inventiva, prodiga di neologismi e
costruzioni sintattiche che occhieggiano al parlato. Ma Mozziconi non è solo
uno strampalato e monologante barbone; è l’esempio di un uomo che con la sua
marginale condotta mette a soqquadro l’ordine costituito del mondo, denunciando
l’ipocrisia dei sapientoni che giudicano dall’alto, le speculazioni di
milionari palazzinari, i politici sempre a caccia di pretesti per guadagnare
consensi e quei cittadini impettiti che si scandalizzano per un nonnulla e
scaricano rifiuti e improperi dove nessuno li vede. Nel suo modo da eccentrico
sconclusionato è anche un convinto tutore della natura; semina piante e ortaggi
lungo i corridoi di terra che abbracciano il fiume, parla e ascolta parlare
pesciolini e uccelletti, e nelle pause tra una e l’altra delle sue attività
sublima l’arte del grattarsi la pancia e tira le somme di calcoli astrusi,
misurando la velocità del buio, sostenendo che si possono dividere i numeri
dispari ma non quelli pari, raccogliendo pagine di vecchi giornali e mandando a
memoria le assurdità dell’universo ‘di sopra’. Un saggio sui generis, insomma, che
affida le sue intuizioni più care a foglietti sigillati in bottiglie che
navigano alla volta di sconosciuti destinatari. E infine, trovata delle
trovate, si ingegna a piantare cespugli di ciliegio marino così che formino un
verde striscione offerto ai passanti. Alla M seguirà una E, quindi una R, una D
e a suggello la A. Scoppia uno scandalo, i dignitari si allarmano, la voce si
sparge, e ci andrà di mezzo niente meno che il sindaco, “ladrone e truffone”
ovviamente, destinato a finire in prigione.
(recensione pubblicata il 27 giugno sul quotidiano Il Cittadino)
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