VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

mercoledì 20 giugno 2012

W.G. Sebald - LE ALPI NEL MARE


Analitica e sinuosa, la prosa di Sebald fa di questi brevi scritti un piccolo tesoro di meditazione letteraria in cui la vita e le visioni strappate al suo fluire dialogano con l’universo delle cose che non sono più, in un intreccio di cronaca e testimonianza, memorie storiche e personali. I quattro racconti editi nella Biblioteca minina adelphiana e tratti dal libro postumo Campo Santo sono il resoconto dell’ultimo viaggio dello scrittore in Corsica. Il percorso inizia con la Breve escursione ad Ajaccio, nel museo del cardinale Flesh, zio di Napoleone e infaticabile collezionista d’arte. L’attenzione di Sebald si focalizza su un duplice ritratto dell’artista lucchese del Seicento Pietro Paolini, un’opera in cui due figure femminili emergono a stento dallo sfondo giocando con una tenebra che svela il sottilissimo panneggio delle vesti. I cimeli napoleonici e la minuscola custode di Casa Bonaparte, straordinariamente somigliante all’imperatore, sono parte di un ambiente rimasto quasi identico a come lo aveva descritto Flaubert nei suoi diari. La clamorosa ascesa di un piccolo monello a spasso per i vicoli di Ajacco fino alla conquista dell’Europa offre lo spunto per una riflessione su quei minimi dettagli che mutano il corso imponderabile della storia, e quindi, poco oltre, sull’umana impossibilità di immaginare una verità attendibile. La passeggiata attorno a Piana, raccontata in Campo Santo, giù fino alla baia adamantina in fondo a un precipizio e poi a ridosso del paese, nel cimitero abbandonato, è un’avventura che approda a un luogo di lapidi divelte, erbe incolte e immagini di estinti incorniciate in ovali sbiaditi da decenni di intemperie. Un funzionario coloniale, un ussaro biondo in uniforme, una ragazza morta nel giorno del suo diciannovesimo compleanno inaugurano una documentata ricognizione attorno ai vari metodi di sepoltura, ai rituali funebri e alla costante presenza degli “antinati” nella quotidianità degli antichi isolani. La narrazione scivola verso un lontano mondo di prefiche o “voceratrici” in bilico tra disperazione passionale e freddezza teatrale, interminabili banchetti funebri e i cosiddetti culpa morti, acciatori o mazzeri, che uscivano di casa nottetempo abbandonando il proprio corpo per compiere cruenti sacrifici dagli effetti mistici. In una terra di faide e banditismo, questo universo di credenze e riti trasformava l’aldilà in qualcosa di vicino, accessibile per vie misteriche, sempre più estraneo a quanto accade in un mondo sovrappopolato, dove il culto dei morti viene progressivamente trascurato e confinato negli effimeri cimiteri virtuali. Le Alpi nel mare inizia nel tono pacato di un reportage sulle foreste diradate dagli abusi umani e da incendi devastanti, un tempo abitate da animali estinti come il mitico cervus elaphus corsicanus, per terminare nei risvolti demoniaci della passione venatoria degenerata in coazione allo sterminio. Si riaffaccia a proposito, casualmente recuperata nel cassetto di un albergo, la Leggenda di San Giuliano dell’amatissimo Flaubert, dove una crescente fobia omicida si arresta solo per la grazia di una trasfigurazione. L’ultimo anello, più esile, del volumetto, “La cour de l’ancienne école”, è un aneddoto di appena tre pagine in cui una fotografia raffigurante il cortile di una scuola a Porto Vecchio scompare e riappare misteriosamente sulla scrivania di Sebald insieme a una gentile corrispondenza. Lo scrittore nato a Wertach, in Baviera, vissuto a lungo in Inghilterra e scomparso prematuramente lasciando opere tra le più notevoli del secondo Novecento, nutriva grande passione per le immagini e arricchiva spesso di fotografie le pagine dei suoi libri, in un esercizio di contrappunto tra il nomadismo digressivo della narrazione e la fissità delle stampe, il movimento vitalistico dello scopritore e un culto profondamente elegiaco suscitato dalle icone del passato.    
W.G. Sebald

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