VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

giovedì 13 settembre 2012

IAN HOLDING - NEL MONDO INSENSIBILE



Ian Holding, che vive e lavora ad Harare, in Zimbabwe, si è ispirato alla storia di un suo allievo per raccontare in forma di romanzo il disastro sociale del proprio paese, le efferatezze e i saccheggi che hanno marcato la vicenda post-coloniale. Lo ha fatto con una capacità di scrittura che l’ha posto tra i finalisti del Dylan Thomas Prize e con l’onestà di spartire le responsabilità dei crimini tra bianchi e neri, mostrando tutta la bruta violenza che ammorba entrambe le comunità. Lo Zimbabwe è travestito da nazione senza nome, una specie di Stato esemplare, modello di tante simili situazioni africane. Davey è un adolescente cui una banda di sicari massacra i genitori Leigh e Joe Baker, agricoltori bianchi insediati da generazioni nella fiorente fattoria di Edenfields. Mandante dell’omicidio e dello scempio dei corpi è una volgare politicante nera, dispotica accaparratrice che si arroga il diritto di appropriarsi della terra senza curarsi di nessuna legge. Edenfields diventa così il campione di un quadro generale in cui gruppi di potere corrotti si scagliano sui fattori per strappare loro vaste proprietà che da granai del paese si trasformano presto in campi trascurati. Il racconto della tragedia sociale, causata dalla spropositata quanto strumentalizzata reazione al razzismo bianco, passa attraverso il dramma individuale di Davey, segnato a vita dall’esperienza di una crudeltà straordinaria. La zia Marsha che tenta di assisterlo giunge a pensare che per lui sarebbe stato meglio scomparire insieme ai genitori. L’elaborazione e le metamorfosi successive del dolore sono riferite con grande intuito psicologico dallo scrittore-insegnante. Dalla gelida apatia del ragazzo traumatizzato a una forma di masochismo compensatorio; dall’assunzione smodata di alcol e droghe alla trasformazione del sesso femminile in “una cavità umida in cui riversare il proprio odio come una nave cisterna che vomiti morchia.” Si tratta di un notevole climax che passando attraverso il torbido piacere provato nell’ammazzare un coniglio approda alla pulsione omicida che farà di Davey un vendicatore spietato. Il romanzo sviluppa attorno al nucleo della vicenda digressioni che completano l’affresco del dissimulato Zimbabwe allo sfascio. I sacchi da obitorio riciclati in cui sono avvolti Leigh e Joe, la trama di battute e atteggiamenti razzisti della ristretta comunità dei proprietari terrieri, l’incongruo servizio sulla rivista “Garden and Home” interessata al grazioso giardino di zia Marsha o la musica classica che inonda le verande coloniche, sono tasselli stridenti ma verosimili di un libro che precipita verso una disfacimento collettivo e privato. La lunga strada che Davey copre a piedi per compiere la sua vendetta è un’ulteriore iniziazione all’orrore inframmezzata da qualche ingannevole respiro bucolico. Tra gli incontri c’è quello di un vecchio ritirato in una capanna dalla vista magnifica che sotto un genuino anelito spirituale cova l’infondata speranza di diventare un agricoltore. Poco lontano da lui alcuni ragazzi scheletrici saccheggiano la marcescente carcassa di un bufalo nella savana e una coppia di bianchi alcolizzati sopravvivono a loro stessi torturandosi a vicenda. Il villaggio dove alcuni soldati irregolari trascinano Davey viene messo a ferro e fuoco. Immobilizzato e picchiato, il giovane bianco assiste ad atroci violenze. Prima di sfuggire alla mattanza scorge il cranio di un uomo sfondato a bastonate che ha in bocca il pene reciso del suo bambino. Siamo al road movie dell’orrore africano, immagini rabbrividenti dal mondo insensibile che una buona letteratura a tinte fortissime sa raccontare. Tra la legittima rivendicazione di uguaglianza e autonomia e lo sfogo di un sentimento di rabbia fomentato da neri incapaci il cui obiettivo sono i benefici del potere corre un filo sottile che Holding esplora dal cuore dell’Africa.  

Ian Holding

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