VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

martedì 20 dicembre 2011

CHUCK KINDER - L'ULTIMO DANZATORE DI MONTAGNA


Chuck Kinder, sessantaquattrenne, è uno dei più affascinanti narratori americani contemporanei: una leggenda dalla fama discreta, giocoliere della vita in bilico tra un’infinità di mestieri, whisky ed eccessi, dotato di un talento che sprizza a ogni pagina con un senso di vitalità inconfondibile e uno spudorato coraggio nel cogliere vizi e virtù proprie e altrui. Dopo un clamoroso esordio, nel 1973, con il romanzo di formazione Snakerhunter, non ancora tradotto in italiano, dopo Silver Ghost, del 1978, e quel voluminoso libro che si intitola Lune di Miele, pubblicato nel 2001, in cui racconta la sua lunga amicizia con Raymond Carver, Kinder si concede un anno sabbatico e si allontana dall’Università di Pittsburgh, dove è direttore del programma di scrittura creativa, per ritornare alla sua terra d’origine, il West Virginia. Inizia così una corsa a ritroso nel suo lontano passato, un incrocio di luoghi e personaggi mitici e familiari, figli di una terra montagnosa e selvaggia, abitata da folli ed eroi di provincia, contrabbandieri e solitari alcolisti rintanati in bettole sperdute tra vallate brumose incise da fiumi millenari. Lo scrittore in vena di bilanci esistenziali copre la regione in lungo e in largo, scova parenti ignorati da secoli e rievoca le durissime vite dei minatori di un tempo, pressoché schiavizzati dai vecchi baroni del carbone americano. Le storie che racconta sono di una grande varietà e compongono un’anomala autobiografia, insieme racconto della propria terra e di sé stesso. Il ricordo di una domenica trascorsa in piscina riapre le ferite di un bambino stretto tra umiliazioni e rivincite, canzonature subite per il piccolo difetto a un testicolo e pietà verso una bambina dal volto orripilante. L’esplorazione con il telescopio dell’universo in compagnia dell’amico secchione Johnny Menser termina in una fuga a gambe levate davanti a una misteriosa astronave apparsa nella boscaglia. E’ la mitologia della prima gioventù, carica di enfasi, sorprese e scosse che si imprimono nel carattere. Memorabile il ritratto del padre nel giorno in cui mostra all’intera cittadina il suo numero di tuffatore mettendo in ombra le prodezze di Capo Aquila in Volo, millantatore travestito da indiano di origini squisitamente italiane. Ma ancora più intensa è la rievocazione della madre immaginata nel giorno in cui compie cinquant’anni e celebra un personale, straziante funerale delle illusioni perdute. Chukh Kinder guarda sé stesso nelle molteplici versioni che assume lungo il corso della sua vita accidentata. A diciassette viene coinvolto in sette rapine a mano armata dentro e fuori Atlantic City, al seguito dell’avanzo di galera Morris Hackett, che tiranneggia su di lui come un criminale impazzito fino a quando, in una notte spettrale, non riuscirà a liberarsene. L’amore acrobatico con la giovane e piccantissima Holly vissuto dallo scrittore sposato, malandato e cinquantenne, è un’ennesima follia in cui si mescolano speranze insensate, bugie e sognanti derive. Le perlustrazioni dell’inquieto professore di Pittsburgh si spingono fino a covi di gay montanari, sale da biliardo e fast-food che abbondano di stivali a punta, tatuaggi, fucili e pistole. Spinelli e pastiglie allucinogene aiutano a farsi coraggio. La scrittura, ricca e precisa, distante dal minimalismo del vecchio compagno Carver, assume a tratti i toni di una psichedelica scampagnata on the road. Il danzatore di montagna del titolo è Jessico White, l’ultimo ballerino di tiptap degli Appalachi, un “cugino” fuorilegge che assurge alla gloria grazie al documentario Jessico Goes to Hollywood e che sopravvive nel mito di Elvis Presley, di cui si spaccia per il fratello gemello morto e occultato poco dopo la nascita. “Nelle fosse nere e senza fondo di quegli occhi immaginavo di vedere un miscuglio di rabbia, follia, dolore, paura e diffidenza, una capacità infantile di provare tristezza, meraviglia e solitudine, oltre a un guizzo di qualcosa che si avvicina alla tenerezza, e da qualche parte, in un remoto anfratto di quegli occhi indemoniati, splendeva la sua inclinazione alla gioia e alla fama, insieme a un’infantile propensione per la violenza incontrollata, così sconfinata da far paura. Erano occhi in cui fantasticavo di vedere riflessi i miei.”

Chuck Kinder

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