VINCENZO MARIA OREGGIA

BIOGRAFIA, LIBRI, RECENSIONI, INCONTRI, REPORTAGE

giovedì 1 settembre 2016

ANNIE ERNAUX - L'ALTRA FIGLIA - L'ORMA EDITORE 2016



Tutto è raffinato, assorto, sospeso nella scrittura di Annie Ernaux, autrice francese di culto, insignita nel 1984 del Premio Renaudot per Il Posto e del Premio Maguerite Duras, nel 2008, per Gli anni: un’opera, la sua, che trasforma l’esperienza autobiografica in un’indagine inesausta sul senso della propria vita, degli accidenti e delle tappe che ne marcano il percorso, condotta con i mezzi di una letteratura che punta all’essenziale. “Scendere a ogni libro dentro ciò che non conoscevo in anticipo”: questo il proposito dell’Ernaux, ma anche la sua pratica costante, come dichiara in modo esplicito in quest’ultimo romanzo breve, tradotto e confezionato con preziosa cura editoriale dall’editore L’Orma. L’altra figlia ha la forma di una lettera indirizzata a Ginette, sorellina morta due anni e mezzo prima che nascesse chi le scrive: un lutto appreso quasi per errore da una conversazione della madre e rimasto da quel momento dell’infanzia un enigmatico non detto tenuto a debita distanza da entrambi i genitori e trasformatosi nel tempo in una mancanza sempre più astratta e fondamentale. Il racconto, in una continua messa a fuoco di tracce, indizi e scampoli di memorie che ritornano all’epoca infantile e a quella della prima giovinezza, ricostruisce il quadro di un nucleo familiare e la storia di una bambina ossessionata da un doppio estinto con cui si sente eternamente messa a confronto: un’ombra che la assilla e che tenta di riesumare grazie a una sorta di esorcismo postumo. “Che ti stia scrivendo per resuscitarti e ucciderti un’altra volta?” Il percorso autobiografico compone per accensioni rapsodiche e fulminee un privato affresco di vita provinciale spesa tra i piccoli comuni della nativa Lillebonne e di Yvetot, dov’è il cimitero di famiglia, nella Senna Marittima, ma lambisce anni anche più tardi, quando la madre si ammalerà di Alzheimer e il padre verrà calato - siamo già nel giugno del 1967 - nella fossa accanto a quella di Ginette. Nel metodico esercizio della memoria, la scrittrice sembra trovare un antidoto e un contraltare al disordine insensato del presente, quasi che la nitidezza delle immagini più lontane possa compensare la caotica profusione delle attuali, ed è frutto di maestria ormai sperimentata il modo in cui ci fa intuire esattamente dove siamo limitandosi a pochi tratti dall’intensa forza evocativa, muovendosi agilmente tra i decenni di una vicenda condensata in un’ottantina di pagine dalla marginatura alquanto generosa. 

                                                                    Annie Ernaux

Intrecciata a questa storia, come un’indagine semisommersa che riemerge qua e là con interrogazioni nette e lancinanti, ferve la domanda sul più intimo senso dello scrivere, sulla sua profonda urgenza e le sue istanze: quasi una storia parallela unita saldamente a quella più evidente degli accadimenti personali e storici: due aspetti, in fondo, di una medesima ricerca spartita tra un dentro e un fuori, tra un racconto di fatti e supposizioni e dei bisogni che ne hanno resa ineludibile la testimonianza. Letteratura e vita, dunque, come universi che si reggono su una continua osmosi e diverrà impossibile tenere dissociati. Non a caso affiorano i nomi di Pavese, suicida, si suppone, nel giorno in cui giunge la notizia della morte di Ginette, e di Kakfa, citato in un terribile momento della Lettera al padre. E’ in questa trama più nascosta, nel dialogo instancabile tra ciò che accade all’interno e al di là del testo, in questa ‘maledizione’ dell’irrealtà, o di una realtà così evasiva da dover essere ricreata una seconda volta, che si annida il segreto sprone dell’avventura letteraria, capace di rimettere al suo mondo, sulle ceneri di pochi scatti in bianco e nero o dietro all’eco di evanescenti e lontanissime parole, anche una labilissima e quasi solamente immaginata sorellina estinta. “Io non scrivo perché tu sei morta. Tu sei morta perché io possa scrivere, fa una grande differenza”. Una vita o una morte - qui confuse - che delegano alla letteratura, orfana dell’impossibile, la messa in scena di una meravigliosa resistenza.

(la recensione è apparsa su Il Cittadino del 1/09/2016 :
http://www.ilcittadino.it/p/notizie/speciale/2016/09/01/ABhKhsWK-annie_ernaux_morte_letteratura.html )

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