L’immagine
dell’antropologo vecchio stampo, metà scienziato e metà avventuriero in mondi e
società sconosciute, è stata oggi sostituita da quella di uno studioso alle
prese con un complesso sistema di relazioni umane da sondare verificando di
continuo la propria posizione di osservatore. L’antropologia culturale, prese
le distanze dall’etnocentrismo di matrice coloniale, predilige un atteggiamento
relativista, consapevole del fatto che la metodologia di approccio condiziona i
risultati e che l’equilibrio da ricercarsi corre lungo il labile confine tra
sguardo eccentrico e osservazione partecipante. Marco Aime, in questo libro che
è un compendio del pensiero antropologico degli ultimi due secoli e al tempo
stesso una sua rilettura originale, sceglie per la sua esposizione un approccio
“percettivo” e attraversa molteplici sistemi culturali partendo da concetti
elementari quali corpo, procreazione, alimentazione, comunicazione, scambio,
creatività, credenze soprannaturali. Dopo una panoramica introduttiva sulle
diverse scuole di pensiero cha vanno dall’evoluzionismo sociale della seconda
metà dell’Ottocento al postmodernismo statunitense nato negli anni Settanta del
Novecento sulla scia della decolonizzazione, l’indagine attorno al corpo racconta
la sua trasformazione, comune a tutte le società, da corpo naturale in corpo
culturale. Le capigliature rasta delle popolazioni oromo dell’Etiopia, le pitture facciali e quelle corporali degli hagen della Nuova Guinea, le scarificazioni
e i tatuaggi, questi ultimi di origine polinesiana ed esportati in occidente
dai marinai dell’epoca, sono segni di un corpo malleabile. Si tratta di interventi
che incidono a volte oltre la pelle, come nel caso dell’allungamento del collo,
dei piattelli labiali, della dolicocefalia o allungamento del cranio presso i mangbetu congolesi, della compressione
dei piedi e delle mutilazioni genitali, fino alle varie pratiche della
chirurgia estetica e a quella del piercing. In conformità all’idea di un uomo
che inventa la propria vita restando in bilico tra natura e cultura, pulsioni
istintive ed elaborazioni concettuali, anche la procreazione, la crescita e la
morte sono percepite in modo specifico nei differenti contesti sociali. Il
parto gemellare può essere considerato un segno malefico o una benedizione. L’età
biologica assume un significato sociale grazie a un sistema di divisione della
popolazione per classi di età che ubbidisce alle regole delle diverse culture.
L’idea di “commestibilità culturale” ci trasforma da semplici mangiatori
biologici a mangiatori sociali di un cibo che dev’essere prima di tutto “buono
da pensare”, filtrato da condizionamenti religiosi e rigore tradizionale. Le
forme di linguaggio, così come le scritture, siano esse pittografiche,
logografiche, ideografiche o alfabetiche, sono marcate da una straordinaria
biodiversità, che rende variegato anche il panorama delle tradizioni orali,
specie africane, con la loro spettacolare dimensione teatrale. Povero e
omologato è il nuovo linguaggio del web, delle chat lines, degli sms e delle
email, in cui l’antropologo vede la deriva della scrittura verso modalità
sempre più colloquiali. Il relativismo critico di Aime è particolarmente
affilato quando, tra le varie forme di governo, passa al vaglio quella democratica.
La misura della democrazia è da ricercarsi nella sua effettiva pratica
partecipativa piuttosto che nella sua impalcatura formale, un modello che si
regge essenzialmente sulla delega delle decisioni ad altri. La gestione
collettiva e partecipata del consiglio di villaggio appare così più democratica
di molti governi parlamentari africani modellati sul sistema occidentale. Un
breve viaggio attorno al concetto di arte dimostra invece come l’originalità,
ritenuta suo fondamento, non è in realtà un dato universale ma spiccatamente culturale
e talvolta neppure indispensabile, come nel caso del Sudest asiatico, dove gli
artisti tendono a riprodurre schemi tradizionali.
Marco Aime
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